TUTTO IL RESTO PASSA
“In un'epoca di cambiamenti, quelli che ancora imparano ereditano il mondo. Mentre coloro che hanno smesso di imparare, si trovano splendidamente equipaggiati per confrontarsi con un mondo che non esiste più.”
Eric Hoffer
Le persone migliori che ho conosciuto sono quelle che hanno affrontato prove difficili, combattuto la lotta, conosciuto la perdita, e hanno trovato la strada per riemergere.
Elizabeth Kubler-Ross
Ogni tanto sento dire che siamo in mezzo alla peste del 21° secolo. Speriamo di no, visto che le epidemie di peste bubbonica che periodicamente hanno flagellato l’Europa a partire dal ‘300 e fino al ‘700, ogni volta si portavano via mediamente il 30% della popolazione (e in molte città anche il 50% e più)…
Il problema come sempre sono le news blabla, con i media che sembrano fatti apposta per scatenare panico e inquietudine; e anche la nostra mente che non riesce proprio a fare a meno di pensare negativo. E pur di non rinunciare alla dose di magma mediatico deprimente, ci giustifichiamo dicendoci che dobbiamo essere informati e aggiornati. Come se, con un tiggì o un dibattito con gli “esperti” in meno, si rischiasse di perdere chissà cosa. Se non guardi tutti i tiggì peste ti colga si potrebbe dire…
Comunque, alcuni punti in comune con quelle terribili pandemie del passato in effetti ci sono.
Prima di tutto anche allora le epidemie originavano dalla Cina, o zone limitrofe, sempre in Asia. Che a uno gli viene da chiedersi, ma cos’hanno laggiù che non va?
Il secondo punto che mi pare in comune è che anche allora gli scienziati e gli esperti, pur dandosi un sacco da fare, in realtà brancolavano nel buio, o giù di lì. Un po’ come avviene ancora oggi con tante malattie.
All’epoca si era convinti che la peste originasse da miasmi venefici, cioè vapori velenosi, prodotti dalla materia in putrefazione e dalla sporcizia, frutto delle pessime condizioni igienico-sanitarie dell’epoca. I medici credevano che questi miasmi, oltre a essere respirati, si attaccassero alle persone, ai vestiti, alle cose, diffondendo così il morbo.
Ci sono voluti oltre 500 anni per capire che la peste in realtà proviene da un bacillo chiamato Yersinia pestis, di cui i ratti erano portatori, con le pulci che fungevano da veicolo di trasmissione dai roditori infetti all’uomo. Dove la povertà e la sporcizia diffusa nelle case favorivano la proliferazione sia dei ratti che delle pulci.
Ma, pensando ai vapori infetti che si respirano e si attaccano ai vestiti, a partire dal ‘600 i dottori iniziarono a indossare una tuta particolare fatta di tela cerata, e una sinistra maschera con il naso a forma di becco d’uccello (con la punta imbevuta di profumi e presunti disinfettanti). Si supponeva infatti che in questo modo i miasmi non si sarebbero attaccati agli abiti cerati scivolosi. Il fatto che la cosa in qualche modo funzionasse, convinse la scienza della bontà della teoria dell’aria avvelenata. Teoria che rimase in vigore per diversi secoli. Ma la realtà è che con quella tuta addosso erano le pulci infette che non riuscivano ad attaccarsi e mordere i dottori…
Come dice Carlo M. Cipolla nel saggio “Il pestifero e contagioso morbo”:
“La lezione della storia è che fin troppo spesso le persone trovano più facile manipolare i fatti per adeguarli alle proprie teorie, che adattare le proprie teorie ai fatti osservati”.
Il terzo punto ha a che fare con le conseguenze economiche delle epidemie (e delle azioni intraprese per contrastarle).
La caratteristica principale delle quarantene di allora era che non servivano praticamente a una mazza, dato che ratti e pulci continuavano a circolare liberamente. E, anzi, confinare la gente in casa aumentava sporcizia e pulci. Peggiorando le cose.
L’effetto principale che avevano tali misure restrittive era invece quello di devastare l’economia. Dai dati dell’epoca, ad esempio, apprendiamo che quando a Firenze nel 1630 venne decretata la quarantena, la città dovette sostenere costi enormi (ad esempio per fornire cibo a chi era isolato), e in poco tempo il numero di poveri e bisognosi aumentò da 12.000 a 30.000. In pratica la disoccupazione aumentò del 150%.
Conclude Cipolla, nel suo saggio del 1981:
“Oggi come nel seicento, quando la gente brancola nel buio, i costi sono sproporzionati ai benefici”.
Con questo non voglio certo dire che oggi si brancoli nel buio come allora.
E’ che ho una sorta di allergia. Cioè, quando sento queste news dove si parla di previsioni sull’andamento dell’epidemia, e di modelli matematici e proiezioni statistiche costruite al computer dagli scienziati in base a formule varie… non riesco a fare a meno di pensare ai mercati finanziari. E di quanto i modelli previsionali e le formule a tavolino non abbiamo mai funzionato nella realtà dei mercati. Creando semmai false certezze, convinzioni errate; e impedendo di vedere altri tipi di rischi, come ad esempio nei grandi crolli del 2008. Che quando alla fine se ne sono accorti, l’unica esclamazione è sempre stata: “Chilavrebbemaidetto”.
E poi, a sentire gli esperti e i bollettini nei tiggì sembra che prima in Italia praticamente non ci fossero decessi.
Invece, se uno scava un po’, trova magari un articolo di una rivista scientifica specializzatissima, come l’“International Journal of infectious diseases”, pubblicato nel novembre 2019 e dal titolo suggestivo:
Dove si narra che:
“Negli anni recenti, l’Italia ha registrato picchi di mortalità, in particolare fra i più anziani durante le stagioni invernali…”
Ad esempio nell’inverno 2014/2015, si sono verificati in totale 54.000 decessi in più rispetto al 2014. Il tasso di mortalità in Italia più alto dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, sempre secondo l’articolo. Ma nessuno sa dare una risposta soddisfacente a questo aumento, se non menzionando la stagione particolarmente fredda e l’avanzata età media della popolazione.
Circoscrivendo poi l’indagine ai decessi legati in qualche modo a complicazioni derivanti dalle epidemie di influenza, l’articolo rileva che durante l’inverno 2016/2017 si sono registrati quasi 25.000 decessi in più rispetto all’anno prima.
Ora, magari mi sbaglio, ma me non sembrano numeri da poco. Solo che non mi pare di averli sentiti menzionare dai media, concentrati come sono a dare solo i numeri di oggi. Forse perché l’articolo è in inglese e non l’hanno letto…
Con questo non voglio inserirmi negli accaniti dibattiti in corso, né sminuire la portata del problema attuale, e tanto meno la fondamentale attività in prima linea degli operatori sanitari in emergenza. E’ evidente che c’è stato un pericoloso momento di grande crisi, con un virus pericoloso ed estremamente contagioso cui eravamo impreparati, e di cui i più deboli in particolare hanno fatto maggiormente le spese…
Ciò che mi preoccupa di più sono quelli che – oggi come in passato - si basano su convinzioni che potrebbero essere errate, e poi si basano su modellini previsionali statistici e nel frattempo però decretano il blocco dell’economia (blocco che ovviamente non riguarda le burocrazie e la selva di adempimenti, che invece aumentano).
Rischiando così che moltissime persone dovranno forse preoccuparsi di più per le conseguenze economiche, piuttosto che per il virus in sé.
Ad esempio, negli Usa le richieste di sussidio di disoccupazione hanno avuto un picco mai visto nella storia, dove i picchi verificatisi nelle recessioni precedenti sembrano piccole increspature nel grafico:
In pratica, aggiornando il grafico, più di 26 milioni persone sono improvvisamente diventate disoccupate nelle ultime cinque settimane. Se li aggiungiamo ai 7 milioni che lo erano già, otteniamo un tasso di disoccupazione del 20%. Alla Federal Reserve stimano che prima che le cose migliorino si arriverà a 47 milioni di disoccupati, cioè il 32% della popolazione attiva. Numero molto maggiore del picco raggiunto durante la Grande Depressione degli anni ’30.
Perché un ristorante chiuso non implica solo camerieri disoccupati, ma anche i fornitori che non vengono pagati (e quindi a loro volta licenziano) e i produttori che producono meno; i proprietari degli immobili che rischiano di non ricevere l’affitto; le rate da pagare e le tasse che invece continuano a correre… eccetera.
Siamo in un mondo interconnesso.
Come recita l’antica filastrocca (che pare risalire proprio ai tempi della peste, nel ‘300…):
Per colpa di un chiodo si perse un ferro di cavallo.
Per colpa di un ferro si perse il cavallo.
Per colpa di un cavallo si perse il messaggero.
Per colpa del messaggero si perse il messaggio.
Per colpa del messaggio la battaglia fu persa.
Per colpa della battaglia, si perse il regno.
E tutto per colpa del chiodo di un ferro di cavallo.
Se c’è una cosa che nel mondo attuale serve per far muovere l’economia, è certamente il petrolio. Nonostante tutti i dibattiti e i buoni propositi sulle energie alternative, si stima che almeno il 35-40% dell’energia nel mondo sia prodotta tramite il petrolio (oltre il 60% negli Usa). Poi c’è un 30% di carbone, 20% di gas e le altre a seguire (fra cui eolico 2% e solare 1%)…
Il crollo recente e repentino del prezzo del petrolio indica quindi che il ritmo dell’economia è semplicemente crollato: non si consuma, quindi ce n’è troppo e quindi il prezzo scende.
E’ la legge dell’economia dei consumi in cui viviamo.
Detto questo vorrei però evitare di alimentare le Cassandre. Sarà per la primavera, ma mi pare che dalle tane siano usciti parecchi di quei personaggi che sembrano divertirsi (o guadagnare) seminando un po’ di panico. Erano ibernati da tempo, così ora forse cercano di recuperare. Praticamente se uno non si becca il coronavirus, è certo che morirà di fame disoccupato; e se le scampa entrambe diventerà comunque povero per la patrimoniale che a sentir loro si abbatterà a breve come una mannaia sui risparmi degli italiani.
Ovviamente non so cosa succederà. Ma so che vivere così è davvero difficile.
Qualcosa che genera uno stato d’animo negativo, come la rabbia o la disperazione, la preoccupazione che ti appesantisce, non andrebbe seguito ma scansato.
Questi personaggi si giustificano dicendo, per agganciare l’attenzione, che bisogna sapere, bisogna essere “consapevoli”.
Consapevolezza è una parola molto abusata oggi.
Ma se la consapevolezza significa vivere nell’incubo e con i mal di stomaco, preferisco essere ignaro.
Consapevolezza per me è un’altra cosa.
Significa rendersi conto che nel disegno infinitamente più grande delle cose, ciò che stiamo passando non è che un breve attimo.
Un momento difficile, che supereremo, come sempre, adattandoci al cambiamento. E di tutto ciò rimarrà solo un ricordo un po’ sfocato. Come quei momenti che mentre li vivi dici: “me lo ricorderò per sempre”, e dopo un po’ invece già non è più così nitido…
Siamo fatti così, per fortuna. Destinati a dimenticare per andare oltre.
“Per sempre” è solo un sentimento nel cuore, se lo coltivi, lo purifichi e lo proteggi con cura.
E’ tutto ciò che resta.
Come dice Richard Bach:
“Vivi così da non doverti mai vergognare se qualsiasi cosa tu abbia fatto o detto viene pubblicata in tutto il mondo”.
Consapevolezza è quando vivi conscio che ogni tuo pensiero, parola o azione ha delle conseguenze.
Quando sai che quest’oggi non torna più.
E’ fare ciò che si ama fare e non ciò che si pensa agli altri vada bene. Superare la paura di perdere qualcosa. Non avere rimpianti
Tutto il resto passa.
Scrive Marlo Morgan, autrice del romanzo “E venne chiamata due cuori”:
“C’è un tempo vivo e un tempo non-vivo.
Una persona è non-viva quando è adirata, triste, quando è addolorata per se stessa oppure ha paura. Non basta respirare per potersi definire vivi…
E' giusto mettere alla prova le emozioni negative, ma certo esse non costituiscono un luogo dove sia saggio restare”.
E ORA CHE SI FA?
(lo scaricabarile)
Come si diceva, il prezzo del petrolio negli ultimi due mesi è crollato, passando da 60 dollari al barile ai circa 20 attuali, con un -65% abbondante da inizio anno.
Ma l’altro giorno, mentre davo un’occhiata ai prezzi mi sono imbattuto in questa visione surreale:
Un barile di greggio era arrivato a costare 3 centesimi, perdendo il 99,84% del suo valore rispetto a inizio giornata.
Non ho fatto in tempo a stropicciarmi gli occhi, ipotizzando errori vari del computer, che sullo schermo è apparso questo:
Un errore? Purtroppo no: il prezzo era passato per la prima volta nella storia, in negativo. Arrivando per la precisione a -37 dollari. Cioè, chi ha un barile e lo vuole vendere, in quel momento, deve pagare 37 dollari a chi lo “compra”… Come quando si paga per il ritiro dei rifiuti.
Che poi sarebbe, alla lettera, il principio dello scaricabarile.
Confermando un assioma fondamentale degli investimenti:
I mercati possono salire/scendere molto più a lungo di quanto tu pensassi, e fino a livelli che non avresti mai immaginato.
Con buona pace di Zio Nino da Trapani, detto Trapanino, trader nell’animo, che pochi giorni prima si era riempito il portafoglio di petrolio intorno ai 30 dollari (“Ormai il prezzo è un affare, si vede chiaramente che più di così non può scendere!...” mi diceva al telefono).
In realtà lo scaricabarile di una tale portata è avvenuto anche per motivi tecnici del mercato. Il petrolio viene trattato attraverso i cosiddetti contratti futures. Che in realtà sono contratti nati tanto tempo fa e in origine venivano utilizzati per far funzionare meglio l’economia reale.
Pensate a un coltivatore di pomodori che ha bisogno di soldi per mandare avanti la sua attività. Se ha bisogno di soldi prima di poter vendere il raccolto (senza soldi non si comprano i semi, gli attrezzi ecc.), invece di indebitarsi può vendere il suo raccolto di pomodori… in anticipo. Vende oggi il raccolto futuro, così incassa subito una sorta di caparra, quei soldi che in parte gli serviranno proprio per arrivare al raccolto.
L’agricoltore ha stipulato un contratto future (un vero e proprio “derivato”, così chiamato perché i pomodori, cioè l’evento o l’oggetto del contratto, ancora non esistono). Chi si impegna in anticipo a comprare il pomodori (stabilendo oggi il prezzo) scommette sul fatto che al momento della consegna il prezzo di mercato per i pomodori sarà più alto di quello che lui ha stabilito in anticipo, così potrà poi venderli nel suo negozio con un guadagno. L’agricoltore invece ottiene oggi i soldi, mettendosi al riparo dal rischio che in futuro, quando dovrà consegnare il raccolto, i prezzi siano più bassi. Un po’ semplificato, ma il concetto di base più o meno è questo: abbiamo un produttore e un finanziatore (o speculatore, se vogliamo) che si incontrano e mandano avanti il mercato dell’economia reale.
I contratti derivati erano molto comodi per comprare/vendere materie prime anche per un altro motivo. Già secoli fa, ai grandi mercati del riso in Giappone, la materia prima veniva trattata sulla carta. Non è che il grande produttore portasse al mercato 200 tonnellate di riso. Si impegnava con un contratto a venderle a un prezzo stabilito in quel momento e poi consegnarle in futuro, con i tempi tecnici necessari per le navi, giunche, pagode… Per questo si chiamano anche contratti a termine (dal “termine di scadenza” per la consegna), cioè futures. Tutta roba sensata. Almeno finché non se n’è impossessata l’ingegneria finanziaria…
Ad ogni modo, una volta che ho acquistato il contratto future (cioè il diritto a ricevere una determinata quantità di merce a una certa data e un prezzo prestabilito), posso rivenderlo a qualcun altro sul mercato dei futures. In questo modo il prezzo del contratto cambia di momento in momento, in base alle regole della domanda/offerta e ovviamente in base alle prospettive. I mercati vivono sempre di aspettative.
Ma bisogna stara attenti alla scadenza.
Un contratto future sul petrolio ad esempio, comporta il diritto a ricevere a scadenza fisicamente mille barili di greggio. Ora, se uno non vuole trovarsi una cisterna sotto casa, è meglio ricordarsi di venderlo a qualcun altro prima della scadenza.
Date le prospettive future per l’economia (e quindi per il prezzo del petrolio), nessuno l’altro giorno voleva trovarsi alla scadenza col cerino in mano, cioè con dei barili che quasi certamente avrebbero avuto in seguito un prezzo ancora più basso. Così è iniziato il fuggi fuggi, o meglio lo scaricabarile. Ma evidentemente nessuno in quel momento era disposto a comprare, così il prezzo ha continuato a scendere, e scendere, e scendere… E per la prima volta nella storia dei mercati, un prezzo è andato in negativo. C’è sempre una primavolta.
Ad ogni modo, al di là dei tecnicismi, il crollo del petrolio, a mio parere, ci dice diverse cose:
1 - Mostra chiaramente cosa può succedere a un mercato quando non è taroccato/manipolato dagli interventi delle Banche Centrali. Che oggi più che mai stanno “stampando” soldi per comprarci titoli a tutto spiano (compresi i Junk Bond, le obbligazioni spazzatura)… per evitare che il mercato, lasciato a sé stesso, crolli. E il mercato delle obbligazioni, in particolare, essendo enormemente più grande dell’azionario, è quello che desta le maggiori preoccupazioni. Anche perché, se l’economia si ferma, uno si chiede se magari le aziende avranno qualche problema a ripagare i loro debiti (fra cui anche i bond).
2 – Il prezzo del petrolio a picco indica anche, come già detto prima, quali sono le reali condizioni attuali della nostra economia basata sui consumi. E’ come se l’economia stesse dicendo: “Dato che sono forzatamente paralizzata, non ho bisogno del petrolio”. Il che non promette niente di buono, in base alla filastrocca del ferro di cavallo.
3 – Da un punto di vista geopolitico, e quindi della stabilità, non va sottovalutato il possibile impatto del calo dei prezzi su quei paesi la cui economia dipende dal petrolio. Vedi Arabia Saudita, Iran, Nigeria, Venezuela… Oltre a pesanti conseguenze interne (economiche e sociali), ci potranno essere ad esempio default di bond.
4 – Le recenti dinamiche confermano, per chi ne avesse ancora bisogno, che sui mercati non ci sono free lunch, niente pasti gratis. Quando sembra facile, forse non lo è. Con i cali recenti, in molti hanno pensato di ottenere un facile guadagno comprando a prezzi di saldo azioni delle aziende petrolifere, che storicamente hanno sempre pagato alti dividendi. Semplice, no? Dipende. Ad esempio Royal Dutch Shell, una delle più grandi, a causa dei recenti cali di prezzo avrebbe offerto in futuro un dividendo superiore al 9%. Una roba da leccarsi i baffi. Ma che purtroppo, come spesso avviene in finanza, è una supposizione basata sul calcolo del dividendo pagato in passato (supponendo che venga confermato) rispetto al prezzo attuale dell’azione.
Così l’altro giorno, l’Amministratore delegato della Shell ha mandato all’aria tutti i calcoli dicendo che, causa crisi, per la prima volta a memoria d’uomo, avrebbero tagliato il dividendo. C’è sempre una primavolta.
E il titolo è crollato di un altro 18% in un paio di giorni. Sembrava facile…
5 – A volte, scegliere i prodotti di investimento è molto più complicato di quanto possa sembrare a un esame superficiale. Ci vogliono competenze approfondite, e/o tante cicatrici fatte sul campo.
Ad esempio, come si diceva, in questo periodo Zio Nino, per sfruttare un rimbalzo del prezzo del petrolio (che ovviamente prima o poi ci sarà…), ha pensato bene di comprare un Etf (o meglio, un Etc, Exchange Trade Commodities). Che in teoria è uno strumento che ti consente, con un clic, di investire in materie prime senza tutte le noie viste prima sul mercato dei futures. Figo.
Solo che bisogna conoscere bene la struttura interna del prodotto. Ad esempio, l’etc sul petrolio comprato da zio Nino, per replicare l’andamento del prezzo del greggio, investe in quei contratti futures visti prima.
Come si diceva, il mercato dei futures è fatto da contratti che hanno diverse scadenze. Così, se ho in mano il contratto con scadenza maggio, posso decidere se venderlo prima, farmi consegnare la merce… oppure passare alla scadenza successiva. Tecnicamente si dice fare il roll over sul contratto con scadenza giugno: vendo maggio e compro giugno. Ma non è detto che il roll over mi convenga. Infatti mi posso trovare di fronte a due situazioni (che dipendono sempre dalle aspettative dei mercati).
La Backwardation è quando il prezzo del contratto futuro è più basso di quello attuale (detto prezzo spot). In pratica, il contratto giugno costa meno del contratto maggio. In questo caso mi conviene certamente il roll over: vendo petrolio a un prezzo più alto e contemporaneamente lo ricompro con lo sconto.
Viceversa, il Contango è quando il prezzo di giugno è più alto di quello di maggio. In questo caso se faccio il roll over ho una perdita certa: passo da un contratto che costa meno a uno che costa di più.
Il problema è che, mentre ognuno può scegliere in base alla convenienza se passare o no al contratto successivo, gli Etc che investono in futures, non avendo una scadenza e dovendo essere sempre disponibili sul mercato, sono sempre costretti a fare il roll over. Beccandosi spesso tutte le inefficienze di prezzo e le perdite che il Contango comporta.
Così, non di rado, gli etc che dovrebbero replicare fedelmente il prezzo della materia prima in cui investono, dopo un po’ se ne allontanano. E ti puoi ritrovare ad avere in portafoglio uno strumento che scende mentre il petrolio sale. Ecco, ad esempio l’andamento negli ultimi anni del più importante etc sul petrolio in Usa (si chiama United States Oil, in blu) rispetto al reale prezzo del petrolio (Wti):
A questo punto abbiamo uno scenario a tinte fosche.
Ma, attenti a pensare che debba crollare tutto, che si vede chiaramente, come dicono le Cassandre uscite dalle tane invernali.
Si può pensare che sia irrazionale un mercato che sale mentre l’economia reale affonda.
Come giustamente dice Howard Marks, un noto gestore:
“La Borsa (S&P 500)è giù solo del 15% rispetto ai massimi di sempre. Ma a me sembra che il mondo sia incasinato più del 15%”.
Così può darsi benissimo che i mercati abbiano fatto una risalita camminando beati, però come sonnambuli, e prima o poi si sveglino di soprassalto. Accorgendosi che la realtà è peggiore di quanto immaginato. Chilavrebbemaidetto.
Ma, come diceva Keynes:
“Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile.”
E allora, che si fa?
Come sempre evitiamo accuratamente di investire in base alle previsioni.
Anche perché, oggi più che mai nessuno ci capisce una mazza.
Solo i F.lli Boscoli, come sappiamo, potrebbero guidarci in base al senno di poi. Ma in questo momento non riesco a contattarli. Magari sono in quarantena…
Evito anche di investire cercando di anticipare i movimenti del mercato. Che come diceva Peter Lynch, noto gestore del passato:
“Gli investitori perdono molti più soldi preparandosi alle correzioni di mercato, o cercando di anticiparle, di quanti ne perdano poi nelle correzioni vere e proprie”.
Però mi colpisce una frase, sempre da Howard Marks:
“E’ mia opinione che aspettare e cercare i minimi di mercato sia follia. Quale dovrebbe quindi essere il criterio dell’investitore? La risposta è semplice: se qualcosa è conveniente – basandosi sulla relazione fra il prezzo e il suo valore intrinseco – dovresti comprarla. E se cala, diventando ancora più conveniente, dovresti comprarne ancora”.
Naturalmente questo vale a maggior ragione - e principalmente - per le azioni di aziende di un certo tipo. Le aziende dominanti nel mondo in vari settori.
Così, nelle incertezze del momento, ho deciso di fare alcune cose.
1 – Compro azioni di alcune aziende leader. Approfittando di un po’ di sconto rispetto ai valori massimi, aggiungo ai Portafogli Colorati - ormai molto sfoltiti - altre aziende super efficienti e super profittevoli (abbiamo già Microsoft, Hershey, Amazon, Docusign… ) e con posizioni consolidate nel loro campo e difficilmente aggredibili.
In alcuni casi ricompro titoli venduti da poco (in guadagno) con il trailing stop. E per alcuni di essi si tratta di posizioni che sono state in portafoglio più di una volta (qui tutti i dettagli delle posizioni chiuse ).
Penso che valga assolutamente la pena avere in portafoglio Coca Cola, Alphabet (Google), American Express, Starbucks…
Ai nomi arcinoti aggiungo anche Visa, il colosso dei pagamenti elettronici.
Poi ci sono nomi meno noti, ma di aziende non meno leader come:
McCORMICK & COMPANY (leader mondiale nel campo degli aromi e delle spezie).
VERISK ANALYTICS (analisi dati per valutazione rischi, in campo assicurativo, finanziario, energetico/environment...).
INTUIT (mega fornitore globale di software di gestione contabile e fiscale per aziende).
CONSTELLATION BRANDS (colosso del beverage che detiene noti marchi di vini, dal Chianti alla California; e poi birra, vodka…).
BIOGEN (colosso biotech, l’unico attualmente davvero in corsa per trovare un trattamento per l’Alzheimer).
In Bassa Finanza non posso ovviamente dare i quantitativi specifici, ma il tentativo dovrebbe essere quello di un ingresso progressivo. Fatto 100 l’investimento totale previsto per un titolo, diciamo che ora comprerei dai 30 a 50. In attesa di un’eventuale altra occasione.
Qualcuno magari potrà pensare che in fondo siamo pieni di titoli americani. Beh, prima di tutto sono aziende globali. E poi, evidentemente significa che laggiù per certe cose sono ancora al top.
2 - Con questi titoli attuo un cambio di prospettiva.
Sono infatti titoli che forse vale la pena tenere lì senza troppo preoccuparsi delle oscillazioni, perché nel lungo termine hanno sempre portato ottimi risultati. Quindi, non una speculazione, ma il tentativo di cogliere un'opportunità di ingresso.
Di conseguenza, per loro non metterò stop loss e trailing stop.
Come già avevamo fatto recentemente (Bassa Finanza 115 del 3 febbraio scorso), rimuovendo i trailing stop per Microsoft ed Hershey:
“Sono azioni di aziende con business talmente efficienti che a uno gli verrebbe la tentazione di non venderle mai e anzi, nel caso di rovesci di mercato, approfittarne per acquistarne ancora.
Non è che non si guarderà più l’andamento del titolo, ma ciò che si rimuove è l’automatismo della vendita…”
Come dice Seth Klarman, un grande gestore:
“Nell’investire non è mai sbagliato cambiare idea. Lo sbaglio è cambiare idea e poi non fare niente”.
3 – In questo scenario di “stampa libera tutti” da parte delle Banche Centrali può darsi che l’oro emergerà ancora più forte. Allora, aggiungo azioni di un’azienda nel settore aurifero, Franco Nevada; titoli molto più volatili del semplice gold. Aggiungiamo anche una posizione al Portafoglio Verdolino. Il fondo Pictet Global Environmental Opportunities (già avuto in passato) che investe globalmente in azioni legate a tematiche come efficienza energetica, acqua, riciclaggio rifiuti, energie alternative, digitalizzazione… Lo compro in ottica di lungo termine, con una modalità di piano di accumulo.
Dopo le quasi 50 vendite di febbraio e marzo, vado a ricostruire progressivamente i portafogli (che trovate qui aggiornati )…
Modificando un po’ la gestione del rischio. Niente stop loss per alcune posizioni che secondo me devono essere realmente di lungo termine. E se non si è disposti a tollerare oscillazioni e volatilità, meglio lasciare perdere.
Ovviamente potrei sbagliarmi. Mi conforta però Warren Buffett, che dice:
“Ho fatto talmente tanti errori, che se tutte le volte mi prendessi a calci le mie gambe sarebbero esauste”.
Riepilogando:
Per il Portafoglio Giallo compro:
AMERICAN EXPRESS, sul Nyse, isin: US0258161092
STARBUCKS, sul Nasdaq, isin: US8552441094
Per il Portafoglio Azzurrino compro:
McCORMICK & COMPANY, sul Nyse, isin: US5797802064
Per il Portafoglio Bianco compro:
ALPHABET (GOOGLE), sul Nasdaq, isin: US02079K3059
COCA COLA, sul Nyse, isin: US1912161007
VISA, sul Nyse, isin: US92826C8394
Per il Portafoglio Verdolino compro:
il fondo PICTET GLOBAL ENVIRONMENTAL OPPORTUNITIES, isin: LU0503631987
Per il Portafoglio Bolla Fucsia compro:
FRANCO NEVADA, sul Nyse, isin: CA3518581051
VERISK ANALYTICS, sul Nasdaq, isin: US92345Y1064
Per il Portafoglio Rosso Big Babol compro:
BIOGEN, sul Nasdaq, isin: US09062X1037
Per il Portafoglio Grigio compro:
INTUIT, sul Nasdaq, isin: US4612021034
CONSTELLATION BRANDS, sul Nyse, isin: US21036P1084
Vi lascio con una frase del noto economista John M. Keynes (che era anche un bravo gestore):
“Preferisco avere all’incirca ragione, che precisamente torto.”
Una principio, secondo me, da applicare ovunque.
Allora a presto.
Giuseppe Cloza
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