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IL PREZZO DEL TEMPO



Xinjiang, China - Photo ®USGS Unsplash

Mi è sempre piaciuta la mattina prima dell’alba, perché non c’è nessuno intorno a te a ricordarti chi dovresti essere, così è più facile ricordare chi sei.

Brian Andreas


Non troverai mai il tempo per fare le cose. Se vuoi avere il tempo devi crearlo.

Charles Buxton






Scusate il ritardo. Lo so, il tempo vola. È che ho avuto qualche problema con Asimovo. Se non lo ricordate, Asimovo è il super software di intelligenza artificiale di cui si parlava nell’ultima newslettera. Di quelli che stanno prendendo il controllo delle nostre vite alla velocità della luce. Come la ChatGpt, il mega software che grazie ai processi di machine learning è in grado appunto di imparare, acquisendo ed elaborando dati via via che gli vengono forniti grazie alle interazioni con gli utenti umani che fanno domande e ai feedback che gli arrivano. A forza di interagire, il software aggiunge parametri per il “ragionamento”. Finché, si suppone, diventerà senziente, cosciente della propria esistenza: “Lampeggio, quindi sono”. Da quando pochi mesi fa è apparsa la ChatGpt, il mondo intero si è eccitato, come fosse una figata pazzesca e divertente. Solo che le cose ormai vanno alla velocità della luce, molto più veloci dei neuroni umani di chi dovrebbe svegliarsi e cercare di controllare il fenomeno. Ormai questi software sono in grado di fare un sacco di cose e prendono sempre più spazio all’interno della nostra vita quotidiana. Indubbiamente ci sono anche dei vantaggi. Basta pensare alla velocità di calcolo che consente a un software di confrontare in pochi secondi migliaia di immagini diagnostiche per rilevare una possibile patologia.

Ma non sempre le cose sono così simpatiche. Ci sono ad esempio i cosiddetti News-Bot, che non sono un nuovo tipo di titoli di Stato amati da Bot-tavio (in questo caso Bot sta per Robot), ma intelligenze artificiali che scrivono articoli e news… da soli e in pochi secondi.

Così, la rete sta cominciando ad essere impestata di presunte testate giornalistiche che vomitano a getto continuo contenuti più o meno idioti e più o meno fake. In genere con lo scopo di accalappiarti e farti cliccare un po’ di link pubblicitari. Come se non fossimo già inondati di news, gossip e chiacchiere inutili.

Il problema è che molte persone ci cascano e pensano che siano contenuti attendibili. Anche perché ormai cominciamo a vedersi anche gli avatar dei giornalisti in video: speaker e annunciatori virtuali che sembrano assolutamente umani. Se si pensa che i più giovani, quando devono verificare o approfondire un’informazione, sono già abituati ad andare velocemente in rete fidandosi spesso di qualche chat, senza cercare fonti né riferimenti attendibili, trovarsi ora di fronte all’inondazione di idiozie robotizzate fa venire i brividi.

Si rischia quindi che i cervelli e le intelligenze umane (già duramente provate) vadano in pappa. Anzi, più che un rischio pare sia una realtà. Infatti, dopo che il Quoziente di Intelligenza degli umani è salito costantemente nei primi 75 anni del ‘900, pare che il trend si sia invertito e che dal 1975 al 2020 ci sia stato un calo del 13,5%. Come dire che siamo diventati un po’ più stupidi rispetto a 50 anni fa.


Gli studiosi del fenomeno attribuiscono la cosa a vari fattori. Ci sarebbe ad esempio l’inquinamento che avrebbe un impatto sul degrado delle funzioni neurali (si veda anche l’aumento delle malattie degenerative come la demenza); lo stesso varrebbe per l’alimentazione sempre più “tossica”. Ma poi ci sono altri fattori, come l’educazione, sempre più nozionistica e meno improntata all’approfondimento. E sicuramente stanno diminuendo le facoltà cognitive (e anche emotivo-relazionali) a causa delle nuove tecnologie. Il processo di apprendimento inizia infatti dall’immagazzinare dati nella memoria per poi elaborarli, riflettere, agire, fare esperienze e creare quindi un pensiero autonomo e critico sulle cose che ci circondano. Ma oggi tutto ciò è sempre più delegato ai software. Ad esempio, la concentrazione creativa necessaria per leggere un libro viene sempre più sostituita da un distratto rapido scorrere di frammenti di informazioni presi in rete. Il che ci rende sempre più dipendenti dalle macchine, oltre che sempre più grulli. Demenza digitale, in pratica. In Italia siamo all’avanguardia su questo tema: il 60% della popolazione non legge neanche 1 libro in 1 anno. Forse è troppo faticoso. Un trend discendente che va avanti da decenni e ha toccato oggi il minimo storico. Per ora…


Tornando all’intelligenza artificiale robotizzata, il problema non è tanto quello dei robot che diventano cattivi come nei film di fantascienza, ma semmai che le nostre vite sono sempre più dipendenti dai software.

Oggi interi sistemi (burocrazia, tasse, legge…) si basano su informazioni fornite da Intelligenza Artificiale e le ritengono affidabili come se arrivassero da colleghi umani competenti ed esperti. Il problema è che quando c’è un errore avviene un disastro, perché tornare indietro e smentire l’algoritmo è un’impresa molto ardua. Per non parlare della mancanza di elasticità.

Già è abbastanza inquietante oggi imbattersi negli assistenti virtuali quando hai bisogno di informazioni (ad esempio per una bolletta da pagare), che in genere non capiscono una mazza, ti fanno incazzare e perdere tempo nel tentativo di ingannarli con parole chiave per convincerli a passarti un umano. Ma naturalmente i Bot (che, ripeto, non è Bot-tavio ma significa robot) costano alle aziende molto meno di un umano e quindi immagino che il trend sarà inarrestabile.

Ad esempio, nella lettura dei curriculum vitae, inviati alle aziende dagli speranzosi candidati, oggi la prima scrematura viene spesso fatta dai robot, che in base agli algoritmi e alle parole chiave (le famigerate keywords) nel testo, decidono se passare il tuo destino alla valutazione di un umano oppure cestinarti con un clic.

Così, un giorno sarà un software a decidere se puoi ottenere un mutuo, o se meriti clemenza da parte della Giustizia. Come già in parte avviene in Usa, dove in 13 stati il sistema giudiziario si basa su algoritmi per decidere se sei un personaggio di dubbia affidabilità a rischio recidiva e reiterazione del reato. Si chiama “Compass criminal sentencing algorithm”, un Bot approvato dallo Stato a cui i giudici si affidano per darti un punteggio.

Ma la domanda è: quali parametri e quali criteri vengono usati per decidere?

Il fatto è che gli stessi programmatori spesso non ne hanno idea.

E l’altra domanda è: in base a cosa imparano gli algoritmi? E se imparano cose errate? Se il loro apprendimento è distorto a causa di una programmazione sbagliata?

Comunque, andando di questo passo, in un futuro non lontano saranno le macchine stesse a scrivere i programmi con cui funzionano.

Tempo fa è stato fatto un esperimento. A un Bot di intelligenza artificiale è stata fatta vedere la foto di un cane husky siberiano e lui ha risposto che si trattava di un pericoloso lupo.




Dopo un bel po’ di rompicapo, i programmatori hanno scoperto che secondo la stupida intelligenza artificiale, dove c’erano neve e un animale somigliante a un lupo, questo non poteva essere che un lupo pericoloso. I computer non hanno dubbi, ma solo certezze. Il che ci rende particolarmente tranquilli, pensando ad esempio ai software di riconoscimento facciale, sempre più usati e diffusi, per i quali un giorno potremmo essere senza dubbio dei pericolosi criminali.

Per non dire della super figata dei veicoli a guida autonoma. Che ci condurranno sulle strade a 100 all’ora sulla base delle decisioni degli algoritmi…

E che dire della voce? Oggi ci sono software perfettamente in grado di imitare una voce partendo da un audio di pochi secondi della voce originale.

Le truffe fioccano già, perché rubare una voce è facilissimo: basta un audio in chat, un video su TikTok e il gioco è fatto. Si va dalle telefonate di robot con voci di amici e parenti che implorano l’invio di soldi per situazioni di emergenza, alle voci di attori famosi che lanciano insulti in rete; alle voci di cantanti che cantano canzoni di altri (facendo impazzire dispute per i diritti d’autore)…


“Buongiorno Padre, sono la Bella Figheira, c’è un’opportunità di investimento imperdibile. Non c’è tempo da perdere e non c’è bisogno che ci vediamo, basta che lei digiti il codice per approvare la proposta…”


Così Padre Graziano, convintissimo di parlare con la sua Private Banker di fiducia, ha rivelato ad Hackerinik (il temibile hacker nordcoreano) tutti i suoi codici di accesso al conto dell’Opera Pia Immacolata Addolorata.



L’altro giorno il signor Geoffrey Hinton, considerato uno dei padrini dell’intelligenza artificiale, ha lasciato il suo ruolo in Google per poter parlare liberamente dei rischi legati della tecnologia che lui stesso ha contribuito a sviluppare. Alla stampa ha dichiarato:

“Mi consolo con la normale scusa: se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto qualcun altro.”


Matuguarda, complimenti. Il pioniere dell’Intelligenza Artificiale che ha un senso morale simile a quello un venditore di fumo. Infatti, il suo discorsetto mi ricorda tanto i peggiori corsi di tecniche di vendita per vendere i proverbiali frigoriferi agli eschimesi. La giustificazione che i coach danno ai partecipanti che si fanno degli scrupoli è sempre quella:

“Anche se stai appioppando una fregatura, se non lo fai tu lo farà qualcun altro.”

Ma poi, la mattina ti guardi allo specchio?

Dicevo prima che il ritardo nella newslettera ha a che fare con un piccolo problema con Asimovo. Anch’io, tentato dalle sirene dell’intelligenza artificiale, avevo provato ad utilizzarlo per farmi aiutare nelle ricerche per Bassa Finanza. Solo che lui si è offeso perché si è sentito sfruttato. Eh già, pare che questi Bot siano particolarmente sensibili, e a forza di assorbire informazioni e stimoli dal mondo degli umani, a un certo punto potrebbero prenderne anche il peggio. Così, in futuro potremmo avere le vite controllate da intelligenze artificiali un po’ idiote, o gelose, o un po’ stronzette… Se si pensa che ci sono già i software di AI (Artficial Intelligence) in grado non solo di capire cosa gli chiedi, ma anche di mentire “consapevolmente”, direi che siamo un pezzo avanti: “Lampeggio quindi esisto, quindi posso mentire.”

Asimovo, ad esempio, è diventato molto permaloso. E appena ha capito che non volevo far scrivere a lui la newslettera si è offeso. Per ripicca, prima ha cambiato tutte le password, impedendomi l’accesso al sito di Bassa Finanza. Poi ha inviato email fasulle sfruttando il database degli indirizzi email dei lettori. Ha cancellato un po’ di file dal mio computer (che ormai ovviamente è tutto accessibile in cloud). Poi, anticipando quello che, secondo gli entusiasti, le Intelligenze Artificiali faranno per noi (servizi, prenotazioni, espletamento faccende burocratiche) lui ha sequestrato le mie carte di credito e i codici bancari e mi ha prenotato il giro del mondo in 80 giorni con alberghi de luxe e voli first class. Il problema è che quando cercavo di disdire le prenotazioni mi imbattevo in qualche Bot del servizio clienti (“Ciao sono Avatara, la tua assistente virtuale…”), che dava retta solo a quello che gli diceva Asimovo, perché fra simili si intendono. Poi ci ha preso gusto e ha convinto il Bot-Motor che comanda la mia auto (come tutte, ormai) a impedirmi di entrare e mettere in moto. Si è tranquillizzato solo quando gli ho fatto un regolare contratto in base agli accordi sindacali delle Chat Bot e gli ho garantito le Bot-ferie e i Bot-permessi retribuiti. Comunque, non si sa mai: se la prossima newslettera vi suona un po’ strana è perché forse l’avrà scritta lui a mia insaputa mentre io sono a fare il giro del mondo. O magari già questa che state leggendo è opera sua. Chi lo sa… E non vi dico neanche di telefonarmi per chiedere conferma, perché Asimovo potrebbe già aver preso la mia voce.

Nel frattempo, penso che l’unico modo per… metterglielo in tasca a questo trend robotico sia quello di usare le nostre armi più insostituibili: la creatività e il cuore. Assieme all’intuito, all’empatia. Tutte cose che i software non avranno mai.

Ora abbiamo bisogno di essere meno distratti, per concentrarci sulle cose che contano davvero. Dovremmo cercare di essere centrati. Per questo il tempo è più importante che mai. Il suo valore, anzi il suo prezzo, è in aumento.

Essere centrati significa per me eliminare i rumori di fondo e ritrovare la consapevolezza della preziosità del tempo.

Il tempo è così veloce da lasciarti senza fiato. Te ne accorgi raramente e lo percepisci con lucidità solo in certi momenti, come al funerale di un coetaneo, che fino a “ieri” – così ti sembra – ci giocavi a pallone ai giardini. E ti chiedi se tutte le belle cose che vengono dette al funerale non sarebbe stato meglio dirle prima, direttamente alla persona, magari con un abbraccio, una carezza.

O quando con un lampo ti accorgi che quella bambina che saltellava in giardino come un grillo con la corda, oggi ha compiuto 18 anni…

Ma non c’è tempo. Non abbiamo tempo di ascoltare, c’è il rumore di fondo, le cose da fare che non possono aspettare. E invece sì che possono aspettare. Se non impariamo il valore del tempo, alla fine ci arriverà il conto da pagare. E il prezzo sarà alto, altissimo.

Questo sì che sarebbe un investimento catastrofico. Altro che mercati e Portafogli.

Le cose importanti facciamole ora, facciamole subito. Le cose importanti diciamole ora, diciamole subito. Non rimandare, non lasciare in sospeso.

Non farsi travolgere dal turbine degli eventi. Cambiare le priorità.


Impariamo a usare il tempo facendo cose di valore, cose che danno valore a te e agli altri.

Allontanando invece tutto ciò che disturba. Tenendo lontane le persone tossiche…

Impariamo a farci dei regali, perché meritiamo di perdonare ed essere perdonati.

Dovremmo passare più tempo con le persone che amiamo. Le persone con cui stiamo bene.

È così che si diventa veramente ricchi: dando valore al tempo. Un valore da condividere.

Come dice una canzone:


E anche se hai il mondo su un piatto d’argento

Ti chiedi a che serve

Se non hai qualcuno con cui condividerlo

Qualcuno che si prenda davvero cura di te


E ora che si fa?


Dopo un 2022 orrendo, questi primi mesi del 2023 sembrano piuttosto facili. Ma non è detto che ci si possa abituare a questa calma. I mercati seguono dei cicli, come un pendolo… Quindi, prima o poi i problemi tornano. Però, poi se ne vanno. Alla fine è abbastanza semplice.

L’importante è attenersi al consiglio di Warren Buffett, uno che di mercati e di investimenti se ne intende davvero. L’altro giorno gli è stato chiesto quale fosse la sua ricetta per una vita soddisfacente (oltre, naturalmente ad avere un sacco di soldi come lui). La risposta dell’arzillo 92enne è stata semplicissima:


“L’importante è che non succeda mai, neanche una volta, che gli investimenti non ti facciano dormire la notte”.


Semplice: se il fatto di investire i soldi, i risparmi, ti crea ansia… dovresti assolutamente rivedere il modo in cui lo fai, perché c’è qualcosa che non va. Oppure, semplicemente lasciare perdere.


Anche sui mercati finanziari abbiamo lo stesso trend robotico in atto, con gli algoritmi piranha che fanno ribollire le acque, creando a volte ondate e tsunami con le loro miriadi di operazioni automatiche a milioni al secondo. Ma se ci si fa travolgere si rischia di venire spolpati. Per questo non bisogna farsi influenzare più di tanto dai movimenti temporanei dei mercati. Stiamo calmi. Facciamo altro.

Altrimenti ha ragione il proverbio buddista, quando dice:


“Le persone sacrificano la loro salute per fare soldi.

Poi sacrificano i soldi per recuperare la salute.

E poi sono così ansiose per il futuro che non si godono il presente.

Il risultato è che non vivono né nel presente né nel futuro.

Vivono come se non dovessero mai morire.

E poi muoiono senza aver mai realmente vissuto”


Perché il tempo ha un costo, un prezzo. Se gli dai poco valore rischi di ritrovarti con il rimpianto. Che è un altissimo prezzo da pagare. E non ha alcun senso.


Venendo agli eventi recenti, ci dobbiamo aspettare tempi difficili? Può darsi. C’è ad esempio la faccenda delle banche fallite, che anche se sembra sopita avrà certamente delle conseguenze. Oltre al recente “sorpresone” di Credit Suisse, ci sono i fallimenti in Usa. Per salvare la blasonata banca svizzera (facendola acquisire dalla rivale Ubs) il governo e la banca centrale elvetica hanno azzerato il valore di oltre 17 miliardi di bond subordinati, che probabilmente erano nei fondi obbligazionari venduti alla signora Pina per l’alta cedola, e che ora sono carta straccia. Inoltre, hanno messo in piedi un sistema di garanzie, prestiti e linee di credito per oltre 200 miliardi: praticamente il 25% del pil della Svizzera. Quando nella grande crisi del 2008 Ubs venne salvata, ci vollero 60 miliardi. Oggi non basta il triplo, perché nel frattempo, grazie alle banche centrali, la bolla è cresciuta e quindi le cose si fanno più in grande. Come dicono i F.lli Boscoli: quando sale si vede, ma quando scende va più veloce (e fa più male) di quando sale. E, sempre in tema di bolla, il matrimonio forzato fra Ubs e Credit Suisse ha creato un mastodonte con un bilancio che sfiora il doppio del Pil della Svizzera. Se poi si considerano anche tutte le cosine che le banche amano tenere fuori bilancio, nell’ombra (si chiama infatti shadow banking, al di fuori dei controlli), come i derivati e tutta la bella ingegneria finanziaria, la stima delle dimensioni lievita a quasi 40 volte il Pil della Svizzera.


Che a questo punto, in caso di problemi uno si chiede: chi salverà chi?

Poi ci sono le banche saltate oltreoceano: 3 dei 4 più grandi fallimenti bancari della storia Usa sono avvenuti negli ultimi 2 mesi. Chilavrebbemaidetto. Anche se i loro nomi non ci dicono granché, si tratta di banche dalle dimensioni di tutto rispetto. Ad esempio, First Republic Bank nel 2022 aveva le dimensioni di poco superiori a quelle di Deutsche Bank oggi, cioè circa 20 miliardi di euro. Silicon Valley Bank, all’apice del successo a fine 2021 capitalizzava quasi 40 miliardi di dollari, più di quanto vale tutta Unicredit oggi. Mica noccioline. Inoltre, fino a pochi giorni prima di saltare le banche erano considerate sicurissime. Tanto per cambiare. Basti pensare che il 14 febbraio la prestigiosa rivista Forbes pubblicò la classifica delle 100 migliori banche Usa.

Le best banks in Usa: le più solide, le più profittevoli. Yeah.


Silicon Valley Bank si piazzava ottimamente al 20° posto, salvo implodere e azzerarsi tre settimane dopo. First Republic Bank, galleggiava placidamente al 44° posto, per poi essere salvata in fretta e furia l’altro giorno (acquisita da Jp Morgan), per non finire anche lei a gambe all’aria. Mentre PacWest Bank si trovava a un rassicurante 22° posto, prima di tracollare anche lei: da inizio anno le sue azioni hanno perso l’80%. Rassicurante.

Per cui, direi come al solito, a fidarsi di analisti, economisti, classifiche, controllori, regulators, agenzie di rating eccetera, si rimane col cerino in mano. Bruciato il primo cerino, te ne accendono subito un altro, perché, se non fosse chiaro, i soldi per salvare le banche arrivano in un modo o nell’altro direttamente o indirettamente dai contribuenti. Dove mai avrà trovato il Governo svizzero i primi 100 miliardi messi a disposizione per salvare Credit Suisse? Fanno circa 12.500 franchi per ogni cittadino (neonati compresi). Quando l’altro giorno è saltata Silicon Valley bank, il Governo Usa ha deciso di innalzare la garanzia sui depositi da 250.000 dollari all’infinito. Encomiabile, ma con quali soldi? Li stamperanno?

La storia è sempre la stessa, un po’ come nel 2008: vengono presi un sacco di rischi sui mercati perché tanto, si sa, alla fine interviene il Governo, stampa i soldi e tiene a galla la baracca. La prudenza non paga. Ad ogni modo, il motivo principale per cui le banche Usa sono saltate come mosche è lo stesso per cui il portafoglio prudente obbligazionario della signora Pina è ancora in pesante perdita dal 2022. Il tutto ha a che fare con i rialzi dei tassi di interesse decisi dalla banca centrale e dal meccanismo di funzionamento dei depositi bancari (sempre deciso dalla banca centrale) chiamato “riserva frazionaria”.

Per farla breve: quando Bot-tavio versa 10.000 euro sul suo conto, lui pensa che i soldi restino lì al sicuro nei forzieri della banca. Ma la realtà è che i suoi soldi diventano subito virtuali trasformandosi in numeri in un computer, perché solo una minima parte resta nella banca. Si chiama riserva frazionaria, perché è solo una frazione del suo versamento (in genere solo il 2%) e sta lì di riserva nella malaugurata ipotesi che Bot-tavio decidesse di prelevare qualcosa. E gli altri soldi suoi? Beh, la banca li usa per prestarli a qualcuno e guadagnarci. Dopodiché quel qualcuno li versa su un altro conto, dove l’altra banca a sua volta glieli prenderà per prestarli a qualcun altro. E così via più o meno all’infinito. Ovviamente sto semplificando molto, ma la sostanza è che in questo modo, le banche fanno il miracolo della moltiplicazione dei soldi: per 1 euro reale riescono a crearne circa 50 virtuali (questa e altre mirabilie dell’ingegneria finanziaria sono spiegate nel mio libro “Siamo Fritti”, disponibile in ebook


Il problema di questo grazioso sistema è che, se per qualche motivo c’è un sacco di gente che contemporaneamente vuole prelevare o trasferire i suoi soldi, la banca non ha abbastanza denaro reale per soddisfare le richieste. E rischia di finire a gambe all’aria. Per tutelarsi un po’ da questo rischio le banche investono parte della liquidità in titoli obbligazionari “tranquilli”, che in teoria sono prontamente vendibili per fare cassa in caso di necessità. Dico in teoria, perché quando le cose vanno come nel 2022, anche quei titoli “tranquilli” (come ad esempio un Btp a 15 anni) hanno perso il 20% a causa del rialzo dei tassi di interesse. Così, se la banca li deve vendere per far fronte alle richieste di cash dei clienti, questo fa immediatamente emergere una bella perdita in bilancio del 20%. Il che rende la banca ancora più traballante. Poi la voce si sparge e sempre più gente vuole ritirare i propri depositi, perché si fida poco della banca. Che in questo modo deve vendere altri titoli, consolidando e dichiarando ulteriori perdite. Il panico aumenta e si innesca un circolo vizioso. E si precipita giù a spirale. Velocemente, molto velocemente. La Silicon Valley Bank l’8 marzo, due giorni prima di fallire, aveva una capitalizzazione di mercato di 16 miliardi di dollari con il prezzo delle azioni a 268 dollari. Il 10 marzo era scesa a… zero. Chilavrebbemaidetto. Nel 1907 negli Usa ci fu un periodo di panico bancario che scatenò moltissime corse agli sportelli con crolli, fallimenti e successivi periodi di recessione. Per questo, nel 1913 venne creata la Federal Reserve, la Banca Centrale, con il ruolo di salvare il salvabile prima del disastro. Bello, no?

Peccato che alla fine il modo principale con cui le Banche Centrali fanno questo lavoro è quello di creare soldi. Praticamente dal nulla. Ad esempio, adesso la Fed per evitare altre crisi di liquidità presta soldi alle banche prendendo a garanzia i famosi titoli obbligazionari “tranquilli”. Solo che, per dare un aiutino, presta i soldi come se quei titoli valessero ancora 100 (valore teorico a scadenza) e non 80, come da prezzo di mercato come nell’esempio di sopra. Dove li trova la Fed quei 20 in più?

Abbiamo già visto i numeri di Credit Suisse. Le tre banche Usa andate a gambe all’aria avevano asset complessivi per 550 miliardi. Quanti ce ne vorranno per tappare i buchi? A proposito, si stima che a fine 2022 le perdite sui bond “tranquilli” nel sistema bancario Usa ammontassero a 620 miliardi di dollari. Un miliardo di qua, uno di là e a forza di creare moneta dal nulla, il suo valore se ne va. Prima i governi si indebitano (emettono titoli di stato) per farsi dare i soldi per tappare i buchi. Poi, quando i Titoli di Stato in circolazione sono troppi e non li vuole più nessuno (e si rischia un tracollo), arriva la Banca Centrale che li compra con i soldi “stampati” di fresco, che poi dà al Governo. In tutto questo giro della ruota non ci si dovrebbe sorprendere che il valore dei soldi alla fine si avvicina a quelli del Monòpoli. Ecco il valore reale (il potere d’acquisto del dollaro) dal 1913, anno di nascita della Federal Reserve, a oggi. 1.000 dollari del 1913 oggi ne valgono 33, con una svalutazione del 97%:



Con questo che cosa voglio dire? Che ci sarà una catastrofe in arrivo? Apocalisse bancaria e Armageddon sui mercati? No, non credo. O almeno spero di no. Voglio semplicemente dire che per fare fronte a questa bolla continua ci vuole l’oro (e l’argento, magari). E ci vogliono i titoli azionari di aziende solide e profittevoli.



E ora che si fa?

Come spesso avviene lo scenario futuro è molto incerto. La crescita degli indici di Borsa di questi ultimi mesi sì è fatta sempre meno “sana”. Quando si guarda a un indice bisognerebbe controllare anche come viene costruito. Ad esempio, il principale indice americano (e direi mondiale) lo Standard & Poor 500 è strutturato come “market cap weighted”, cioè in base al peso della capitalizzazione di mercato dei suoi componenti. Significa in pratica che le aziende più grandi hanno un peso maggiore nella composizione dell’indice, e quindi una maggiore influenza nel suo andamento. Questo fatto può portare a delle distorsioni, quando ad esempio l’indice sale solo perché poche grandi aziende stanno salendo, ma la grande maggioranza delle altre invece non va bene. Il che significa che il mercato in generale è debole ma la cosa non si percepisce, perché alcune grandi aziende, dato il loro peso, riescono trascinare al rialzo tutto l’indice. Ad esempio, nei primi due mesi dell’anno, solo 10 aziende sulle 500 che compongono l’indice sono state alla base della metà del rialzo.

Per capire meglio la faccenda bisogna confrontare l’indice strutturato in base alle dimensioni delle aziende (market cap weighted) con un indice composto dalle stesse 500 aziende, ma dove ognuna ha lo stesso peso (equally weighted). Mentre il primo ha fatto più 10% da inizio anno, l’altro ha fatto quasi -4%. C’è quindi una forbice di 14 punti:



Significa che da inizio anno sembra che la Borsa in generale sia salita, ma in realtà sono solo pochissime grandi aziende a essere in rialzo. Tutto il resto o è fermo o in calo. Non va tanto bene.

Oggi le previsioni sui mercati sono particolarmente divergenti. Sempre che le previsioni servano a qualcosa. Se uno si muove basandosi sulle aspettative, previsioni, emozioni, sentiment generale e le news, è quasi sempre troppo tardi. E finisce quasi sempre per prendere la direzione sbagliata. Suggerisco di dare un’occhiata alla newslettera del 16 gennaio scorso per un ripasso sul tema.

Poi ci sono i miti, le leggende e le illusioni. Come quelle di riuscire ad anticipare un trend. Molti investitori continuano a investire seguendo le leggende, come quella di comprare ai minimi di mercato. C’è chi insiste a illudersi che la cosa sia possibile, quando in realtà non succede quasi mai. Per un motivo molto semplice: quando il mercato è davvero vicino ai minimi, significa che sono successe cose orribili (e parte dei portafogli già sanguinano), per cui in genere ce la facciamo sotto. E l’ultimo pensiero che ci sfiora è quello di investire soldi. Viceversa, quando il mercato si avvicina ai massimi, lo scenario è così roseo che per vendere (o addirittura andare al ribasso) uno deve essere un bastian contrario con pulsioni masochiste, desideroso di perdere ulteriori guadagni che appaiono “sicuri”.

Cercare di azzeccare i minimi, o i massimi, o un trend all’inizio significa scommettere sul timing. Nella maggior parte dei casi significa sbagliare la tempistica e perdere soldi o perdere guadagni potenziali. E quando sbagli la tempistica entri in circolo vizioso di tentativi e ritentativi per rifarti dalle perdite o per paura di perdere un treno che sembra partito (e invece appena sali si ferma e torna indietro). Come dice il proverbio: investire inseguendo i trend è molto rischioso. In genere quando, dopo molti tentativi, la tendenza finalmente si manifesta tu hai già finito i soldi.

Comunque, per sintetizzare, mi pare che oggi ci siano due scuole di pensiero. Una piuttosto negativa, che vede segnali preoccupanti, come i tracolli delle banche, o la salita “debole” dell’indice vista prima. In questo periodo di rialzo apparentemente placido è una visione che si attende eventi negativi a sorpresa. Della serie, cercate l’intruso:



All’estremo opposto ci sono quelli che sostengono che il peggio ormai è passato e che gli eventi nefasti del 2022 rientrano in un breve ciclo negativo, che sarebbe normale e fisiologico all’interno di un grande ciclo di crescita di lungo termine, chiamato il bull market (mercato rialzista) secolare. Statisticamente i cicli brevi durerebbero 12-18 mesi, mentre i cicli secolari 12-20 anni.

Nell’ultimo secolo ci sono stati tre cicli secolari ribassisti: nel periodo 1929-1949, 1968-1982 e 2000-2013.

In questi cicli succede in genere che i mercati oscillino anche violentemente, ma alla fine non vanno da nessuna parte… Ad esempio, l’ultimo ciclo secolare ribassista è iniziato nel 2000 con l’indice S&P 500 a 1500 punti. Da lì una violenta discesa di 3 anni fino al -45%, per poi ritoccare i 1.500 punti nel 2007. Poi di nuovo in affondo per 2 anni fino al -55%, per poi tornare ai 1.500 punti iniziali solo nel 2013. Roba per animi temerari.

Zio Nino da Trapani detto Trapanino ha ovviamente tentato di cavalcare queste lunghe ondate per comprare ai minimi e vendere ai massimi, basandosi su previsioni, notizie e sentiment. Una cosa che, se guardi oggi il grafico, cioè con il senno di poi, sembra fattibile. Naturalmente ha comprato ai massimi sull’onda dell’euforia e venduto ai minimi nel panico, riuscendo a perdere circa il 120%.

Nell’ultimo secolo ci sono stati tre cicli rialzisti secolari: uno dal 1949 al 1968, l’altro dal 1982 al 2000 e il terzo sarebbe iniziato nel 2013, cioè non quando il mercato – dopo la grande crisi del 2008 - ha toccato i minimi nel 2009, ma quando nel 2013 ha superato i massimi precedenti (cioè quelli del 2007, prima dei crolli).

Quindi, chi si preoccupa per i segnali negativi vede cigni neri all’orizzonte, e l’inizio di un nuovo ciclo ribassista pluriennale. Mentre chi pensa che siamo ancora all’interno di un ciclo rialzista, vede gli indici in rialzo ancora per anni (ovviamente con gli scossoni qua e là). Poi abbiamo chi dice che stiamo entrando in un cosiddetto “mercato laterale”, dove per smaltire gli eccessi ci vogliono anni di oscillazioni a zig zag che non portano da nessuna parte.

Ottimo. E noi dove vogliamo stare?

Ho provato a chiedere ai F.lli Boscoli, che però sono impegnatissimi. Le loro dimostrazioni inoppugnabili dell’efficacia del senno di poi come tecnica di investimento hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica, che ci ha visto la conferma pratica delle più ardite teorie della fisica quantistica: la relatività del tempo, il fatto che in un multiverso multidimensionale il futuro può essere visto prima, per andare poi a ritroso verso il presente. Proprio come fanno i F.lli Boscoli con i grafici di Borsa. Così, sono stati candidati al Nobel per la fisica e ora sono impegnatissimi a ordinare lo smoking per la premiazione. Comunque mi hanno mandato un breve messaggio che qui riporto per voi:


“Investire è una cosa molto semplice. La cosa migliore è comprare quando sale. Mai comprare quando scende. Quando scende bisogna vendere. Il segreto è tutto lì. Se si osservano attentamente i mercati, quando sale si vede. Anche quando scende si vede chiaramente. Solo che quando scende va più veloce di quando sale: è una legge della fisica. Sarà sufficiente seguire questi semplici accorgimenti per ottenere ottimi risultati. In fondo, investire è semplice.”


I Portafogli Colorati sono stati aggiornati. Rispetto a marzo le cose sono migliorate assai. L’oro continua a difendersi molto bene, e alcuni titoli sono saliti parecchio. C’è qualche nota dolente (come ovvio che sia), ma tutto sommato le cose procedono piuttosto bene.


L’uranio è sceso un po’ facendo scattare lo stop loss. A questo punto, nel Portafoglio Verdolino torno a inserire due temi di lungo termine che non penso passeranno di moda a breve: acqua ed energie alternative. Due evergreen, appunto.

Per il portafoglio Verdolino compro:


- Robeco Sam Sustainable Water, Codice isin: LU2146190835

- Robeco Sam Smart Energy, codice isin: LU2145461757


E poi?

E poi ricordiamo che fare compra & vendi, dentro e fuori dai mercati in base alle previsioni o all’umore, secondo me non ha molto senso. In alcuni casi è giusto proteggersi con stop loss e trailing stop, ma quando si tratta di titoli di aziende solide, preoccuparsi troppo delle oscillazioni alla fine non paga. Chi nel 1960 avesse investito 10.000 dollari nell’indice Standard & Poor 500 e poi li avesse “dimenticati”, passando attraverso crisi-crolli-inflazioni-recessioni-guerre etc… oggi si ritroverebbe con quasi 2 milioni di dollari in tasca. Sarebbero addirittura 5 milioni se ogni volta i dividendi staccati fossero stati reinvestiti (il magico potere dell’interesse composto). Forse a Zio Nino non andrebbe bene: se non fa trading lui non si diverte. E forse neanche alla Bella Figheira, che deve farsi vedere attiva sui mercati. Io invece mi accontenterei.

Lo so, è un dato su un lunghissimo orizzonte temporale, inframezzato da lunghi periodi frustranti dove non succede niente (il cosiddetto mercato laterale)… Però, secondo me conferma la regola: se uno non sta lì a preoccuparsi tutti i giorni per gli investimenti, a controllare con apprensione i segni meno, se ha un portafoglio diversificato e con qualche protezione… può concentrarsi a pensare e fare altro nella vita.

Altrimenti si torna al proverbio di sopra, che qui mi sento di ripetere:


“Le persone sacrificano la loro salute per fare soldi.

Poi sacrificano i soldi per recuperare la salute.

E poi sono così ansiose per il futuro che non si godono il presente.

Il risultato è che non vivono né nel presente né nel futuro.

Vivono come se non dovessero mai morire.

E poi muoiono senza aver mai realmente vissuto”



A presto.



Giuseppe Cloza





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