PAURA DI PERDERE
C’è un tempo vivo e un tempo non-vivo. Una persona è non-viva quando… ha paura.
Non basta respirare per potersi definire vivi.
Marlo Morgan
Sono quasi due anni che Azzurrina ha un sogno. Non so se l’avete presente: la mitica vecchina dai capelli azzurrini, saggia e sferruzzante con i golfini per il nipotino.
Lei che è sopravvissuta eroicamente all’assalto ai suoi risparmi da parte di Ilario il Funzionario, il bancario efficiente che ogni tre giorni, da anni, cerca di appiopparle fondi e polizze iper costose; lei che è sopravvissuta ai lockdown vivendo in solitudine per mesi, camminando su e giù per il corridoio per tenersi in forma… Adesso, sta inziando ad accusare il colpo.
Dopo quasi due anni senza un bacino dal nipotino, lei comincia a cedere. Lo sogna ogni giorno. Anche solo un abbraccio le andrebbe bene.
Ma i genitori del bimbo (suo figlio e la nuora, sulla quarantina) lo tengono a distanza. Gli fanno vedere la nonna e gli dicono, con l’indice alzato:
“Duccio, non ti avvicinare! Potresti contagiare la nonna, che poi MUORE”. E gli rimettono subito la mascherina.
Così, Duccio, il nipotino di Azzurrina, convinto che la nonna morirà per colpa sua, è già dallo psicologo, dove ormai c’è più fila che al Black Friday per il nuovo iPhone.
A proposito di fila…
L’altro giorno ero in fila davanti a un negozio. Di fronte a me c’era un padre con il figlio sui 5/6 anni, come Duccio. Per fortuna dava ancora segni di vita, nel senso che non stava un attimo fermo, girellava, giocava e, naturalmente, toccava le cose. A un certo punto ho visto il panico negli occhi del giovane genitore, che si è precipitato nel negozio, ha preso una colata di gel dal dispenser e ci ha inzuppato le mani del figlio, esclamando: “Non toccare più niente!”
Mentre mi chiedevo perché la scena mi suonasse tanto stonata, mi è cascato l’occhio su questo articolo:
Virus respiratorio neonati, nel 2021 più casi e più gravi
L'allarme lanciato da neonatologi e pediatri. Lancet: "Paghiamo debito immunità con interessi"
C’è questo virus respiratorio (virus respiratorio sinciziale, Vrs) che ogni anno colpisce un certo numero di neonati e bambini molto piccoli. Solo che a quanto pare quest’anno l’epidemia stagionale del virus è iniziata in anticipo e sembra si stiano registrando casi più gravi del solito, con molti ricoveri dei piccoli.
Spiega la presidente della Società italiana di pediatria:
"Lo scorso anno, le misure anti-Covid hanno limitato la circolazione del virus. Ma questo ha verosimilmente ridotto anche la risposta anticorpale nei confronti del patogeno".
Alcuni ricercatori, sull’autorevole rivista scientifica Lancet, parlano di “debito di immunità accumulato grazie alle misure adottate in tempi di pandemia, che ora paghiamo con gli interessi".
Che a me, che non sono né un pediatra né un ricercatore, suona un po’ così: a forza di scorticargli le mani con il gel e imbavagliarli, i bambini non hanno più anticorpi, e quindi, come minimo si ammalano di più.
Così, mi torna in mente una scena di tanti anni fa, quando una delle mie puffette aveva 11 mesi e doveva venire con noi in Africa.
Contattai diligentemente il servizio per i viaggi internazionali della Asl, dove un operatore piuttosto sbrigativo mi dipinse uno scenario apocalittico, raccomandando per mia figlia (che aveva già effettuato tutte le vaccinazioni pediatriche standar) la stessa sfilza di vaccinazioni e profilassi valide per me. Tipo, per intendersi, la profilassi antimalarica: dei pasticconi da prendere regolarmente a partire da quattro settimane (o due, ora non ricordo) prima della partenza, che ogni volta ne ingoiavo uno mi sembrava di aver sganciato una bomba al napalm sul fegato (e poi stramazzavo boccheggiando). “Ma visto che è piccola, le dia solo un pezzetto di pasticca”, mi disse il valente addetto.
“Ma… è sicuro debba fare anche il vaccino per l’epatite A?” – ai bambini piccoli si fa il vaccino per la B – “E il tifo? Non sarà un po’ piccola?”
“Certo, va fatto! Una dose e poi il richiamo…”
Mia moglie, africana, assisteva incuriosita a questo scambio. Alla fine sentenziò: “They’re crazy”, sono matti.
Preoccupatissimo riuscii a fissare un incontro con il primario del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale pediatrico.
Era un anziano signore con il camice bianco svolazzante e i capelli dello stesso colore, lunghi e puffosi sulle tempie. Ascoltò pazientemente il mio racconto, mentre sulle mie ginocchia la pargola di 11 mesi con il cestino di riccioli in testa lo guardava e si ciucciava le manine sbrodolando ovunque. Finito il mio racconto lui rimase un po’ in silenzio. Poi si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e scosse la testa. Eliminò i tre quarti delle cose che ci avevano detto di fare.
Poi la prese in braccio e disse:
“Per carità, lasciate che si strusci in terra, che giochi con i cuginetti africani, in terra, sulla sabbia… e se ne mangia un po’ va bene lo stesso. Almeno produce anticorpi. Alla sua età è la cosa migliore da fare: solo così potrà sviluppare un sistema immunitario potente che le servirà per tutta la vita”.
Me la restituì staccandola dal camice che nel frattempo lei aveva preso per un nuovo ciuccio.
Così, ogni volta che vedo le colate di gel sulle manine o i bambini che vanno all’asilo con la mascherina, penso che forse ci vorrebbe un’epidemia di buon senso.
Penso che il primario di allora direbbe che li stiamo indebolendo. Era certamente un uomo di altri tempi. Oggi siamo avanti: abbiamo una medicina per tutte le occasioni. Quando vedo le mamme terrorizzate che in farmacia comprano il cortisone e l’antibiotico per il mal di gola del pupo mi viene da pensare. Che poi, un antibiotico è per sempre.
La paura, sempre la paura. Sta diventando il sottofondo delle nostre vite.
A proposito di nipoti. Ursula, la nipote 18enne di Bottavio (il risparmiatore timorato che investe solo in Bot), dopo aver passato un anno sdraiata sul letto a fare la didattica a distanza, ora è terrorizzata e arrabbiata.
A forza di guardare video di catastrofi naturali con il volto di Greta che con aria severa da Santa Inquisizione punta l’indice, Ursula si è convinta che non abbiamo futuro. In preda all’eco-ansia, sta calando in depressione. Un giorno è incazzata con il mondo e l’altro è sdraiata, oppressa dal futuro cupo: finiremo arrostiti, sommersi, soffocati, appestati...
Naturalmente i media, come sempre, ci vanno a nozze a spargere terrore e veleni. Immagino che a breve si scoprirà che il calendario Maya era sbagliato: la data della fine del mondo non era 21/12/2012 (come ci hanno martellato all’epoca), ma 21/12/2021. Prepariamoci.
Scrive Pietrangelo Buttafuoco:
“Il mondo occidentale è una grande sala d’attesa dove si passa da un’emergenza all’altra”.
È vero: siamo sempre in attesa. Il sistema è strutturato per farti stare sospeso, in attesa. Ti porta a vivere in un presente imperfetto, sospeso fra un passato dove ci si deve sentire in colpa e un futuro per il quale ci si sente inadeguati e preoccupati. Un futuro che è per definizione incerto e, nella maggior parte dei casi, carico di brutte sorprese, brutti presagi. Vivendo in attesa di questo futuro si vive per definizione nell’incertezza.
Il tutto ormai è sistematizzato, automatizzato. Ci sono i “protocolli” che guidano la nostra vita. Così, se vai a farti una visita per controllare un neo, entri nel girone dell’attesa: il protocollo prevederà per te accertamenti a scadenze programmate per tutta la vita, perché potresti diventare grave. E allora, l’esercizio da fare è quello di cercare di vivere senza ansia fra un appuntamento e l’altro.
Ci vuole una grande energia per non farsi travolgere da questo tsunami di incertezza e negatività irrorato a getto continuo ovunque.
Provati da questo sforzo è facile lasciarsi andare. Specialmente con lo stato di emergenza continua (la minaccia del terrorismo, la crisi economica, la pandemia, il disastro ambientale, l’inflazione devastante…), che fiacca la resistenza. Ed è più facile quindi accogliere a braccia aperte chi promette di occuparsi di te, di agire per il tuo bene… Perché l’alternativa è la paura. Paura di perdere qualcosa.
Mi fanno sorridere quelli che subito si inalberano e parlano di complotti e complottismi. Non si tratta di complotti. Non c’è nessuna Spectre con il mega cattivo dei film di James Bond che vuole dominare il pianeta. Semplicemente, il mondo è guidato – da che mondo è mondo, appunto – dagli interessi economici. Alla cui base ci sono ciò che il Buddismo chiama non a caso i Tre Veleni, le cause principali dell’avvelenamento dell’esistenza umana: avidità, arroganza, stupidità.
Che se uno volesse proprio pensare (non dico “pensare male”, basterebbe solo pensare) gli potrebbe venire il sospetto che in fondo a qualcuno conviene se tutti si ammalano (o hanno paura di ammalarsi) più facilmente. Se viene inculcata la cultura della paura, per cui il sistema immunitario dei bambini viene smantellato pezzo per pezzo, loro in futuro saranno più vulnerabili. Se tutti avranno sempre più bisogno di medicine, qualcuno ci guadagnerà di più, no?
Non c’è nessun complotto: è una semplice ricerca di profitto. Alla quale o si soccombe, o si ricomincia a pensare e ci si difende. Prima di tutto difendendo la propria autonomia. Intesa anche come autonomia di giudizio e autonomia di pensiero. Ma bisogna volerlo: saper essere liberi non è facile.
Ma oggi c’è questa divisione perenne. Qualunque sia il tema, scattano automaticamente le fazioni. Si alzano subito le dighe, i muri, e le due parti iniziano a prendersi a sassate. Ad esempio sui social, per qualunque argomento, ci sono quelli che mettono i cuoricini o i leoni da tastiera, gli haters.
Il dibattito, il dialogo non esiste più. Pare che esista solo lo scontro. Che ovviamene non porta a nulla di buono. Mi pare che siamo immersi in un clima dove l’importante è dimostrare di aver ragione, e non risolvere i problemi.
Ricordo quando ero piccolo e il mio babbo mi portava allo stadio. Allora l’interesse fondamentale era la partita, il gioco. Per questo i tifosi delle due squadre erano spesso mischiati: non erano lì per litigare e sopraffare, ma per guardare una partita di calcio. Al massimo c’era l’ironia, si prendevano in giro. L’ironia, si sa, alleggerisce. Oggi sembra scomparsa, e infatti tutto è più pesante.
Questa sala di attesa dove siamo confinati, come dice Buttafuoco, sembra il luogo perfetto per fare esperimenti. Un vero laboratorio. Grazie alla paura dell’emergenza si fanno le prove. Sì, perché quando si è in emergenza tutto si può fare. In particolare si possono fare intervenire i “tecnici”, gli “esperti”, i tecnocrati che pontificano. E chi ha paura, tutto lascia fare. È per il suo bene, gli dicono, per il bene di tutti noi. E lui è anche contento, sollevato che qualcuno si prenda cura di lui. Sollevato dallo sforzo di pensare e dubitare e approfondire.
Ad esempio, si fanno le prove per vedere quanto ci si può spingere con le tecnologie non proprio democratiche, prima che qualcuno se ne accorga.
Non sono solo i protocolli a guidare la nostra vita. Ci sono anche gli algoritmi, i processi di decisione automatica (Automatic Decision Making).
Anni fa, nei primi numeri di Bassa Finanza parlavo degli algoritmi che guidano il trading computerizzato nei mercati finanziari. Quelli che fanno migliaia di operazioni in un secondo, guidati da super computer. Li chiamavo Algoritmi piranha, perché possono spolpare un incauto umano investitore in pochi attimi. E, se agiscono in branco, possono influenzare gli andamenti delle Borse.
Ma oggi gli algoritmi automatici dilagano in ogni campo, sempre più presenti nella vita di ogni giorno.
Prendiamo il riconoscimento facciale. Una figata, no? Diventa di uso comune, ad esempio per sbloccare il cellulare (salvo quello della Bella Figheira, che la mattina appena alzata e senza trucco lui si rifiuta di riconoscerla).
Una figata anche in Cina, dove le telecamere (che sono ovunque) sono in grado di riconoscerti in tempo reale se, ad esempio, attraversi la strada fuori dalle strisce. Che poi ti arriva la multa a casa. Ed entri nella lista nera.
O magari sei stato visto per strada accanto a un “dissidente” sgradito al Partito, che non conoscevi, ma ci hai scambiato due parole perché ti ha chiesto che ore sono. Dopo lo scanner del tuo viso con segnalazione in real time, vallo a spiegare alla psico-polizia che tu quello lì neanche lo conosci. Invece entri nella black list dei sorvegliati.
Ma no, noi non siamo mica in Cina. Oh, a proposito: avete notato che, praticamente a ogni angolo di strada, a ogni lampione ora c’è attaccato un grappolo di telecamere? Naturalmente sono per il nostro bene, per la nostra sicurezza.
Il problema è che, mentre un tempo si diceva: “Prima viene l’essere umano. La persona al primo posto”, oggi il motto pare essere diventato: “Prima la tecnologia”. I tecnici come sacerdoti del nuovo Verbo.
Nelle alte sfere (tipo Ue, per intendersi) c’è una tale eccitazione per le figate tecnologiche che in pochi sembrano preoccuparsi delle implicazioni sulla democrazia e la privacy. Chilavrebbemaidetto.
L’Automatic Decision Making sta diventando un modello di vita sociale: ci sono algoritmi che ti guardano, ti ascoltano, leggono ciò che scrivi, controllano cosa fai, nelle migliaia di interazioni tecnologiche che abbiamo ogni giorno. Decidono cosa puoi o non puoi fare, ti assegnano un punteggio, stabiliscono a cosa hai diritto e a cosa no.
E, come scrive Fabio Chiusi di Algorithm Watch, organizzazione internazionale non-profit che ne studia l’impatto sulla società, nel report “Automating Society 2020”:
“Gli algoritmi non sono né ‘neutrali’ né oggettivi, anche se tendiamo a pensarlo. Replicano, invece, gli assunti e le credenze di chi decide di adottarli e programmarli. È sempre un umano dunque, non ‘gli algoritmi’, a essere responsabile sia delle buone che della cattive decisioni algoritmiche”…
Il che significa che fra umani si potrebbe ancora dibattere, dialogare, farsi sentire, eventualmente protestare, per decidere se certe scelte siano rispettose o meno di una concezione democratica. Sempre che uno sia ancora desto.
Ma, come dice il proverbio:
“E’ facile svegliare uno che dorme, ma è impossibile svegliare uno che fa finta di dormire”.
Atrimenti potremmo finire come Bottavio.
L’altro giorno si è visto revocare l’esenzione per le visite mediche perché quella mattina, quando si è pesato, la bilancia wifi collegata in remoto con l’Asl ha inviato i dati biometrici e l’algoritmo ha assegnato punteggio insufficiente causa sovrappeso: da green è passato a red.
Punteggio che era già calato il giorno prima, quando il frigorifero intelligente aveva rilevato tramite i codici a barre l’inserimento di prodotti alimentari non in linea con il protocollo.
Purtroppo una delle 12.000 telecamere che tutti i Comuni pare si divertano a installare (per la nostra sicurezza), con il software di riconoscimento facciale l’aveva anche beccato a mangiare un maritozzo al bar: l’app dello smartphone si è subito attivata e ha inviato al Centro Controllo i dati sulla glicemia. Così gli è stata revocata l’esenzione anche per il trattamento insulinico per il diabete, che ora dovrà pagarsi da solo, assieme alle visite di controllo cardiologiche. Come dice la notifica arrivatagli via email: “Gli effetti del Suo comportamento irresponsabile non possono ripercuotersi sulla collettività”.
Al colmo della sforuna, il controllo automatico delle transazioni monetarie elettroniche (perché, come noto, i contanti sono sporchi e non vanno usati) ha rilevato che proprio quel giorno Bottavio ha comprato della benzina (per il motorino del nipote, rimasto a secco) e alcune bottiglie di vetro (per imbottigliare l’olio nuovo).
L’algoritmo anti terrorismo l’ha subito classificato come soggetto potenzialmente eversivo, probabile portatore di bombe molotov, e in real time gli è stato notificato un daspo con divieto di assembramento.
Purtroppo le sue colorite imprecazioni sono state subito carpite dai microfoni ambientali. Sul certificato digitale il suo status è stato automaticamente aggiornato in “Soggetto alterato. Non idoneo ai luoghi pubblici” e, per il bene della collettività, il suo Pass sullo smartphone è diventato Red, impedendogli di salire sull’autobus per tornare a casa.
Nel frattempo il nipote, mentre aspetta la benzina, ha pensato bene di usare il computer del nonno per chattare con gli amici mentre giocano a uno di quegli spara-spara online. L’algoritmo per il controllo Politically Correct ritiene quel linguaggio “violento e discriminatorio” e l’account Whatsapp di Bottavio e l’accesso all’email vengono immediatamente bloccati.
Al colmo della sfortuna, l’altro giorno Bottavio aveva mangiato la proverbiale zuppa di fagioli e cipolle (bio), specialità di sua moglie Ida. Così, mentre giocava a bocce gli è sfuggito un peto particolarmente denso cha ha quasi abbattuto un drone di Greta per la rilevazione di CO2.
Scattato immediatamente il riconoscimento facciale satellitare, Bottavio è stato catalogato come soggetto inquinante e, in base al punteggio della carbon foot print, l’algoritmo gli ha assegnato una multa per “Comportamente indegno e contrario al bene comune”, che è stata direttamente addebitata in tempo reale sul suo conto corrente. Alla terza multa gli bloccano anche l’accesso al conto e scatta l’obbligo di frequenza al Corso di Riabilitazione, sottoponendosi alle sedute di Odio & Rabbia Collettiva per essere purificato.
Già, la rabbia. Oggi sembra che le emozioni dominanti siano rabbia e angoscia. Che portano intolleranza. Ci vorrebbe davvero un’epidemia di buon senso che contagiasse le persone. Entrambe queste emozioni vengono comunque dalla paura.
Nel mondo della globalizzazione (o della “glebalizzazione” come dice il filosofo Diego Fusaro, facendo un parallelo fra il concetto di servi della gleba di un tempo e del progressivo impoverimento della classe media di oggi) si rischia di diventare servi della paura.
Paura di perdere qualcosa: la vita, i soldi, il lavoro, il potere, il prestigio, il ruolo, un posto nei social… A causa della quale si è disposti a cedere pezzi di libertà pur di essere “rassicurati” .
E poi, paura di non essere accettati, di non essere all’altezza delle aspettative; paura di restare soli. Anzi: terrore di restare soli. A causa del quale si è disposti a vivere nella finzione, a rinunciare.
Saper essere liberi è una cosa difficile.
Bisognerebbe cercare di fermarsi un attimo, riflettere, prendere fiato. Pensare, approfondire. Centrarsi sulla coerenza. Una cosa faticosa. Con tutta questa paura, la paura di perdere qualcosa, si diventa vuoti. La vita diventa vuota. Anzi, un vuoto a perdere.
Ma più che alla razionalità, dovremmo fare ricorso all’emisfero destro. L’intuito, l’amore, l’energia femminile, che è naturalmente collegata al flusso della vita. L’esatto opposto della paura, che invece fa appassire e morire.
Di fronte alla narrazione di rabbia e angoscia – di una vita morta - bisogna sportarsi su un altro piano: alleggerire, sorridere, concentrarsi su altro.
Non scontrarsi, ma travolgere di amore e vitalità e andare oltre.
E ora che si fa?
Con tutti questi discorsi su Greta etc. non vorrei che qualcuno mi prendesse per un No Green… ops… oggi bisogna stare attenti a menzionare certi colori. Comunque la verità è che tanto sono attento alle tematiche ambientali che ho creato il Portafoglio Verdolino 10 anni fa, quando a parlare di investimenti sostenibili erano quattro gatti, guardati ovviamente con sufficienza e qualche risatina dal mainstream.
L’ho chiamato Verdolino proprio perché negli investimenti, come nella vita di ogni giorno, non si può essere etici al 100%, altrimenti anche Greta dovrebbe spostarsi a piedi da una parte all’altra del pianeta, tipo cammino del pellegrino. Bisogna quindi trovare dei compromessi sostenibili.
Quello che sopporto a fatica è la mancanza di coerenza e l’ipocrisia.
Ultimamente c’è stato l’ennesimo summit dei Grandi per parlare anche di temi green. Trovo divertente il presidente Usa che si è presentato a Roma con una scorta di 85 mega suv, di quelli che fanno 2 metri con un litro. Avranno consumato più petrolio in quei giorni (immagino anche per lo shopping delle ladies e poi andare in trattoria per la cacio e pepe con Mariuccio) che una cittadina in un mese.
Per non parlare del successivo summit sull’ambiente, il cosiddetto Cop26 tenutosi a Glasgow. Per discutere di come ridurre le emissioni di anidride carbonica i grandi della terra sono arrivati a Glasgow con 400 jet privati, che si stima abbiano prodotto emissioni di CO2 pari a 13.000 tonnellate, l’equivalente della quantità prodotta da 1.600 inglesi in un anno. Un buon inizio.
A proposito, il nome del convegno, “Cop”, non si riferisce, come pensa la signora Pina, a una catena di supermercati che sponsorizza i prodotti bio e green, ma significa semplicemente Conferenza delle parti. Il numero 26 sta invece a indicare che è la ventiseiesima volta che si incontrano (inquinando come matti), senza sostanzialmente risolvere una mazza. Ad esempio, nella Cop21 svoltasi a Parigi nel 2016 veniva proclamato il grande impegno a contenere entro il 2020 il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi.
Solo che ci deve essere stato qualche intoppo, perché evidentemente nel 2020 non è stato raggiunto un piffero. Così, l’altro giorno, in uno dei tanti gloriosi comunicati, i paesi si sono impegnati nuovamente a raggiungere le condizioni per mantenere il riscaldamento entro 1,5 gradi. Ma questa volta l’hanno presa un po’ più larga: da qui al… 2050. Matuguarda.
Immagino che alla prossima Cop27 si sposterà l’obiettivo direttamente al prossimo millennio. Tanto non se ne ricorda nessuno. Succede un po’ come con i guru di Borsa quando sparano le loro previsioni: dopo qualche giorno nessuno si ricorda più cosa avevano detto.
Detto questo, la realtà è molto più complicata di quel che vorebbero far credere i proclami o i manifestanti. Si fa presto a dire “Facciamo la transizione ecologica: riduciamo le emissioni e passiamo al green”.
Quello che forse sfugge è che ci sono alcuni fattori che complicano parecchio la cosa. Prima di tutto l’efficienza (o densità) energetica: per produrre l’energia pari a quella di un litro di benzina (7.000 chilocalorie) ci vuole un pannello solare di 10 metri quadrati esposto ininterrotamente al sole per 10 ore. Quindi, o copriamo il pianeta di pannelli solari (e dove non c’è il sole che splende?), o consumiamo di meno. Solo che i consumi energetici aumentano ininterrottamente: dagli anni’70 a oggi siamo passati da 60 a 100 milioni di barili di petrolio al giorno.
E allora chi glielo dice ai manifestanti che anche loro dovrebbero ridurre i consumi? Che, ad esempio, ma solo per dirne una, per mantenere tutto l’apparato di server necessario per memorizzare tutti i cazzeggi delle foto whatsapp o i video tik tok, ci sono nel mondo consumi energetici immensi che immagino vaporizzino pezzi di foresta Amazzonica, mentre noi riempiamo le memorie dei data center…
Ah, già, ma noi andiamo sull’elettrico. Quello è pulito. No?
Al momento l’energia elettrica è “pulita” solo nel senso che, in buona parte dei casi, inquina da qualche altra parte. Come fanno i tedeschi, che a casa loro riducono l’inquinamento importando energia elettrica prodotta dalle fumose centrali a carbone in Polonia. Così loro sono buoni, puliti e molto green, mentre i polacchi sono sporchi e cattivi. O come facciamo in Italia, che dopo aver abolito il nucleare in casa, importiamo il 15% del fabbisogno energetico dalle centrali nucleari in Francia.
E poi ci sono le batterie, che fanno funzionare le cose elettriche “pulite”. Peccato che necessitino di metalli la cui estrazione inquina e devasta territori e popolazioni.
Come il nichel, estratto principalmente in Indonesia, Russia e Filippine. Per fonderlo vengono utilizzate centrali a carbone, con relativo inquinamento atmosferico e malattie respiratorie; per non parlare di rifiuti tossici e inquinamento idrico.
A proposito di acqua. Il litio viene estratto in Sud America (con il 25% della produzione mondiale e l’80% delle riserve) dall’acqua salata fatta evaporare forzatamente. Pare che per produrre una tonnellata di litio ci vogliano due milioni di litri d’acqua. Il che ovviamente sta portando la desertificazione in quelle zone. Che, come sappiamo, fa bene all’effetto serra.
Il cobalto, altro minerale necessario, viene invece estratto al 70% nel Congo, da enormi miniere a cielo aperto che generano polveri sottili del metallo pesante velenoso che ricoprono le aree e la gente. Aree dove già di per sé c’è un’attenta cura dei diritti umani…
Mentre la grafite proviene principalmente dalla Cina, dove la sua polvere causa inquinamento di aria, acqua e gravi malattie respiratorie agli abitanti.
E fin qui parliamo solo della produzione delle batterie. Perché poi si dovrebbe parlare dello smaltimento di quei simpatici metalli. Ma lasciamo perdere. Ci penseranno alla Cop150…
Intanto però ci potremmo pensare un po’ anche noi.
Selvaggia, la figlia della signora Pina, ultimamente si è allineata al trend diventando green equa e solidale. L’altro giorno, dopo un healty brunch a base di seitan (che ci vogliono 6.000 litri di acqua per produrne un chilo) e papaya bio (importata via aerea dal Brasile assieme a molte tonnellate di CO2), ha partecipato alla manifestazione contro il cambiamento climatico sfilando con le sue scarpe da ginnastica di plastica da 200 euro (in arrivo via mare su container a gasolio dalla Cambogia) e postando foto e video con il suo nuovissimo smartphone.
In media lo cambia ogni due anni, che non resiste ai nuovi modelli con 18 videocamere e nuove irrinunciabili funzionalità. Pare che in Europa la gente cambi il telefono ogni tre anni. E pare che, se il ciclo di vita di uno smartphone si prolungasse fino a 5 anni, si risparmierebbero 10 milioni di tonnellate di CO2, quanto quella prodotta da tutte le auto in Belgio in un anno. Ma chissenefrega: c’è il nuovo modello.
Fra l’altro il continuo ricambio di aggegi tecnologici stimola la produzione e il commercio di Coltan. Mai sentito parlare? È l’abbreviazione di Columbite e Tantalite, due minerali preziosi per la fabbricazione di componenti elettroniche, molto usati negli smartphone. Il problema è che l’80% delle riserve si trovano in Congo, dove come tutti sanno regnano la pace e la democrazia, il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori (donne e bambini in primis).
Insomma, si fa presto a dire Green. Ma i calcoli non tornano. Anche con i recenti piani faraonici della Ue la faccenda sembra difficile da risolvere. Si calcola che 1.000 miliardi di investimenti servirebbero a ridurre del… 5% le emissioni di CO2 nel pianeta.
Per ridurre le emissioni di circa un terzo (altro che “emissioni zero”) ci vorrebbero 5.000 miliardi. In pratica 5.000 dollari per ogni abitante, da zero a cento anni, dei cosiddetti paesi sviluppati.
Il tutto solo in teoria. Perché molto probabilmente la riduzione di emissioni da una parte del mondo verrebbe compensata dall’aumento in altri paesi. Vedi Cina, che se ne frega delle Cop1, 2, 3… e apre centrali a carbone a tutto spiano. Ma, chissapperché, a loro nessuno dice mai niente.
Non a caso una soluzione che sta affiorando alla chetichella è quella di tornare al nucleare (che non produce emissioni di CO2). Ma lo dicono sottovoce, per non far incazzare i manifestanti.
Nel frattempo, a forza di spingere con il mantra della transizione energetica ad ogni costo, il risultato è che… il costo dell’energia si alza e il conto (la bolletta) lievita.
Il rischio di fare troppo i radicali è quello di prendersi un boomerang nei denti: la diminuzione di fonti efficienti (in termini di resa energetica, come visto prima con la benzina) unita all’aumento della richiesta di energia (con la ripresa dei consumi da day after pandemico) sta creando la tempesta perfetta per un bello shock energetico.
Mentre l’inquinamento continua, ad esempio con gli effetti collaterali delle batterie (ma occhio non vede cuore non duole… ) o l’aumento delle centrali a carbone in Cina, il costo dell’energia aumenta. Anzi schizza in alto, riversandosi poi sui costi delle materie prime. Perché estrarre materie prime o produrle richiede molta energia.
A parte naturalmente il Coltan e il cobalto, estratti a mano – e quindi in modo ecosotenibile - da donne e bambini in Congo; oppure la Mica, una pietra che ridotta in polvere dona ai cosmetici quel fighissimo effetto glitter scintillante o ai dentifrici l’effetto sbiancante e viene estratta sempre a mano dai bambini in India e Madagascar (che oltre a estrarla ne respirano la polvere).
Dopodiché schizza in alto il costo dei trasporti (basta provare a fare il pieno oggi per capirlo), così come i costi per le industrie che trasformano le materie prime… Eccetera, fino al prodotto finale. Così abbiamo: prezzi in aumento, bollette in aumento, aziende sull’orlo di una crisi…
Naturalmente chi ci rimette sono i soliti noti: noi.
Le aziende possono fare due cose: aumentare i prezzi o tagliare i costi, e quindi in sostanza licenziare o chiudere. In entrambe i casi le uniche cose che aumentano per la gente sono le tasse da un lato è l’impoverimento dall’altro. La “glebalizzazione”…
Ma questo non si può dire, che non è politically correct e si passa per “No Green”.
Ad ogni modo, gli Stati virtuosi si stanno impegnando a sborsare cifre enormi per la causa della transizione veloce. Ma tutti quei soldi, tutto quel denaro pubblico, dove lo troveranno?
Un indizio viene da una profonda frase di Margareth Thatcher:
“Non esiste il denaro pubblico, esiste solo il denaro che lo Stato sottrae ai cittadini e alle imprese.”
Ecco a voi quindi, prossimamente, le nuove tasse, o meglio: la Green Tax.
Naturalmente con un po’ di terrore sparso dai media, qualche dibattito in tivù ospitando scienziati greenologi più o meno autorevoli, la creazione da parte del Governo di un Comitato Tecnico Scientifico, sarà più agevole far digerire i nuovi balzelli ai cittadini impauriti (come sempre) dalla nuova emergenza. Come dice il filosofo Ermanno Bencivenga:
“Un popolo indotto a provare un perenne timore è portato a schierarsi dalla parte della narrazione dominante senza riflettere. L’angoscia e la rabbia, infatti, hanno l’intento e l’esito di indebolire la nostra razionalità, rendendoci tutti più manipolabili e docili. Siamo circondati da appelli a decidere in fretta senza ragionare. Molti, stanchi di tale frenesia, divengono facile preda del pifferaio di turno”.
Qualcuno potrebbe obiettare che la faccio troppo facile e invece di criticare dovrei dare la soluzione.
Nel caso risponderei che è troppo facile obiettare in quel modo.
È del tutto ovvio che si debba intervenire per avere un pianeta meno inquinato. Ma forse la soluzione non sta nella radicalizzazione. E tantomeno nella divisione.
La soluzione si trova prima di tutto nella testa di ognuno di noi. Nello sforzo di andare oltre la narrazione dominante, di approfondire e non fermarsi agli slogan. Di esercitarsi e impegnarsi a essere coerenti e più consapevoli. Già questo sarebbe un enorme passo avanti.
Quello che mi preoccupa è che i più giovani, invece, sembra siano stati accuratamente addestrati da anni di super cazzeggio (secondo me in progressivo peggioramento dagli anni ’90 in poi) a non sviluppare la capacità di analisi critica e approfondimento (“aiutati” in questo – sempre secondo me – anche dalla scuola).
In genere reggono al massimo le 3 righe di un tweet o i 20 secondi di un video su Tik Tok e dedicano invece una grande concentrazione solo alle serie tv di Netflix e simili. Inoltre, poveretti, vengono continuamente bombardati di incertezze e imbevuti di paure… Che alla fine uno rischia di diventare Green Pazz.
Ad oni modo, se anche fossimo tutti felici di pagare l’ennesima Tax, in questo caso per il bene comune, che è un bene superiore e quindi più importante dell’individuo (un’ottima ragione per zittire chi dissente)… il problema è sempre il solito: come verrebbero investiti quei soldi?
Risponde la Corte dei Conti Europea, che ha da poco pubblicato un report dall’interessante titolo:
“Politica Agricola Comune e Clima… Le emissioni prodotte dall’agricoltura non diminuiscono”
In particolare:
“La Corte ha rilevato che i 100 miliardi di euro di finanziamenti per le politiche agricole assegnati all’azione per il clima hanno avuto un impatto modesto su tali emissioni, che dal 2010 non sono cambiate in misura significativa.”
Né pare siano serviti a una mazza i 35 miliardi già destinati per ottimizzare i consumi di risorse idriche:
“La politica agricola dell’UE promuove e, troppo spesso, sostiene un maggiore utilizzo dell’acqua, anziché una maggiore efficienza".
Centotrentacinque miliardi (nostri) già buttati in discarica. Chilavrebbemaidetto.
Purtroppo, a quanto pare, come tutte le Corti dei Conti, anche quella Europea non se la fila nessuno. Sono 71 pagine di report, ma posso qui sintetizzare:
il denaro pubblico sottratto a imprese e cittadini in nome del bene comune e del futuro del pianeta viene perlopiù sprecato inutilmente. Nel frattempo il costo dell’energia aumenta, con i nefasti effetti a cascata.
Amen.
Non sarà un caso se è stato coniato il termine “Green washing”, praticamente: sciacquarsi la bocca con il green.
E ora che si fa?
Nella Banca Private Lux della Bella Figheira è tutto un fiorire di iniziative per gli investimenti sostenibili. Negli uffici ovattati hanno messo i contenitori per la raccolta differenziata molto trendy, e ogni due giorni esce un nuovo costosissimo prodotto con il marchio ESG (Environmental, Social e Governance) che viene presentato ai clienti come Padre Graziano in apposite riunioni etiche dove si sottolinea l’importanza di contribuire al bene del pianeta e al budget della banca. Segue buffet gourmet bio.
Li lasciamo quindi ai loro risciacqui di green washing e andiamo oltre.
Come la paura non consente di vivere bene, e forse neanche di vivere (e blocca il cervello), allo stesso modo non consente di investire.
In un famoso studio di qualche anno fa, alcuni economisti fra cui il premio Nobel Daniel Kahneman hanno verificato il comportamento degli investitori di fronte alle informazioni e alle notizie sui mercati e l’andamento dei loro portafogli. Ad alcuni venivano date informazioni frequenti, ad altri solo una volta l’anno. Risultato:
“Fornire agli investitori frequenti feedback sull’andamento dei loro investimenti è come incoraggiare le loro peggiori tendenze. I soggetti con il maggior numero di dati e informazioni hanno avuto i risultati peggiori in termini di guadagno rispetto a quelli con informazioni meno frequenti…”
(Thaler, R. H., Tversky, A., Kahneman, D., & Schwartz, A. (1997). The effect of myopia and loss aversion on risk taking: An experimental test. The Quarterly Journal of Economics, 112(2), 647-661)
Oh bella, e perché? Chiaro: per la paura.
Concentrarsi sui movimenti di mercato di breve termine, sugli eventi del giorno, sulle oscillazioni estemporanee dei titoli, genera preoccupazioni che in molti casi si rivelano inutili, perché infondate, e dannose perché portano a effettuare operazioni sbagliate sull’onda dell’emotività.
Da spiegare a Zio Nino da Trapani (detto Trapanino) che ogni mattina legge tutti i report di mercato (ma solo se gratis), segue le news in tempo reale, i guru ogni due ore e poi si incasina da solo in un groviglio di operazioni. Che alla fine faceva meglio con Bot e Cct, da tenere fino alla scadenza.
In un modo o nell’altro, negli aspetti più diversi della vita è sempre la paura di perdere che frega.
E poi bisognerebbe sempre cercare di capire la differenza fra investire e speculare.
Come diceva Fred Schwed jr. (un trader che perse quasi tutto nel crollo del ’29 e poi scrisse il libro “Dove sono gli yacht dei clienti?”, riferito ai clienti dei consulenti finanziari):
“La speculazione è il tentativo di trasformare una piccola somma in una fortuna. L’investimento è il tentativo di impedire a una fortuna di tramutarsi in una piccola somma”.
A questo punto occupiamoci dei Portafogli Colorati, che sono stati appena aggiornati.
In un mondo dove c’è brama di sicurezze, un’azienda leader globale nel campo della diagnostica e dei test di qualità e sicurezza dovrebbe avere buone chances. PerkinElmer è una delle più grandi aziende mondiali nel campo (assieme a poche altre, come Thermo Fisher, che sta nel Portafoglio Azzurrino).
Produce software e apparecchiature diagnostiche per effettuare vari generi di test e analisi: dagli screening prenatali per rilevare problemi e patologie (e salvare bambini in 90 paesi), ai test sulla qualità dell’acqua, a quelli sui cibi per prevenire frodi alimentari.
Con 14.000 dipendenti (di cui buona parte scienziati…) e 3.500 brevetti, PerkinElmer è presente e attiva in 190 paesi del mondo, in un settore altamente complesso dove attaccare la posizione di un dominator è cosa particolarmente ardua. E PerkinElmer è uno dei dominators.
Sempre in tema di sicurezza. PayPal è una di quelle aziende utilizzate da un numero sempre maggiore di persone. Oggi si contano oltre 380 milioni di utenti nel mondo, oltre a decine di milioni di esercizi commerciali.
Paypal ti consente di utilizzare la tua carta di credito o il conto frapponendosi fra te e colui che riceve il pagamento. In questo modo i tuoi dati finanziari non vengono condivisi e non possono quindi essere utilizzati da eventuali malintenzionati. Un tema sempre più scottante specialmente quando si fanno acquisti online. Con PayPal oggi si possono inviare soldi in 100 valute e in 200 paesi del mondo. E da qualche mese è possibile anche utilizzare le criptovalute.
Considerato che nel mondo la maggior parte delle transazioni avviene ancora per contanti, i margini di crescita per la piattaforma digitale sono enormi. Ovviamente un titolo del genere è sempre piuttosto costoso. Ma negli ultimi 3 mesi la corsa al rialzo si è arrestata.
Il mercato si è preoccupato che l’attuale strozzatura nella catena distributiva dei commerci possa avere un impatto negativo su PayPal. Così, rispetto ai massimi, il titolo è sceso del 25%. Mi pare un’occasione interessante.
Poco più di 2 anni fa proprio PayPal ha investito 750 milioni di dollari in una partnership con un’azienda argentina di nome MercadoLibre. Mai sentita? Semplificando al massimo, si potrebbe dire che MercadoLibre è l’Amazon e l’Ebay dell’America Latina. In un mercato dove l’e-commerce e i pagamenti elettronici hanno margini di espansione enormi, quest’azienda è oggi leader indiscussa in Brasile, Messico, Argentina… con volumi d’affari quadrupli rispetto a quelli di Amazon negli stessi paesi.
MercadoLibre è inoltre attiva nelle transazioni finanziarie elettroniche con la piattaforma MercadoPago. In un’area del mondo dove il 50% della popolazione in pratica non ha un conto in banca, poter comprare e vendere tramite una piattaforma non bancarizzata è un bel vantaggio.
Guardando a un futuro forse non troppo lontano, un tema molto interessante è quello del quantun computing: i computer quantistici. Processori che, sfruttando i misteriosi (e rivoluzionari) princìpi della fisica quantistica, consentono una velocità di calcolo inimmaginabile.
Ad esempio, pare che in uno dei mega progetti segreti sul tema, un prototipo creato da Google per la Nasa abbia risolto in 3 minuti e 20 secondi un problema di calcolo per il quale il più grande super computer tradizionale esistente oggi avrebbe impiegato 10.000 anni. Niente male.
Una tale accelerazione esponenziale consentirebbe di risolvere problemi oggi inarrivabili in svariati campi: dalla meteorologia, alla genetica, medicina, chimica…
Se… anzi, quando i computer quantistici (attualmente in fase di sperimentazione) faranno la loro apparizione, si potrebbe avere una vera e propria rivoluzione. Un po’ come quella degli anni ‘50 quando il mondo ha iniziato ad adottare i computer. O degli anni ’80-’90, quando sulle scrivanie i pc hanno preso il posto delle macchine da scrivere e dei pallottolieri... Solo che, se i quantun computers rispetteranno le premesse, la loro rivoluzione sarà molto più potente. Esponenziale, appunto.
Keysights Technologies è un’azienda attiva in due campi molto particolari. Il primo – il suo “tradizionale” – è quello di produrre apparecchiature sofisicate per sviluppare, tarare, testare e mantenere le reti wireless. Quella delle radio frequenze, sempre più trafficate, è una tematica tanto complessa quanto essenziale oggi.
Ma guardando al domani, Keysight si sta posizionando, con una serie di acquisizioni, per essere pronta a cavalcare l’onda del quantum computing. E quindi mi pare interessante.
In ultimo un cenno ai bond, che in questo periodo paiono sempre più in affanno. Specialmente quelli più sicuri e di breve durata, che faticano a mantenersi sopra lo zero. Come il fondo Nordea Euro Covered Bond, nei portafogli Azzurrino e Grigio, che per la sua natura iper tranquilla praticamente non si muove.
Lo sostituisco allora con un altro fondo, sempre tranquillo, ma con un pizzico di pepe. Il fondo Eurizon Diversificato Etico, che inserisce in un portafoglio obbligazionario tranquillo una quota di azioni diversificate globali con un peso in media del 15%. Il risultato è una volatilità molto contenuta (3 punti percentuali annui in un arco di tre anni) e un rendimento ragionevole a fronte del rischio: 3,9% annualizzato su tre anni e 2,6% su cinque. Il tutto con il bollino “Etico”, che ci si augura rappresenti una seria attività di screening nella scelta dei titoli.
Riepilogando:
Per i Portafogli Azzurrino e Grigio, vendo il fondo Nordea European Covered Bond
Per i Portafogli Azzurrino e Grigio compro il fondo Eurizon Diversificato Etico, cod. isin: IT0001052742
Per il Portafoglio Giallo compro PerkinElmer, trattata al Nyse, cod. isin US7140461093
Per il Portafoglio Bolla Fucsia compro PayPal Holdings, al Nasdaq, cod. isin US70450Y1038
Per il Portafoglio Rosso Big Babol compro MercadoLibre, al Nasdaq, cod. isin US58733R1023
Per il Portafoglio Rosso Big Babol compro Keysight Technologies, al Nyse, cod. isin US49338L1035
Ogni tanto qualcuno mi chiede come mai ci siano così tanti titoli americani nei Portafogli Colorati. La realtà è diversa. Ci sono tanti titoli quotati sulle Borse Usa, dato che queste rappresentano oltre il 50% di tutte le transazioni mondiali. Ma non è detto che siano titoli americani, come la cinese Alibaba o l’argentina MercadoLibre.
Inoltre, anche quando sono aziende Usa, tranne che per rare eccezioni, si tratta in realtà di aziende con una presenza mondiale, proprio come PayPal o PerkinElmer, che vende i suoi prodotti in 190 paesi nel mondo.
Avrete notato che all’inizio della Newslettera c’è un’immagine che sembra un quadro astratto.
Piero (l’anima grafica del sito) e Dolores – l’anima estetica (o meglio: l’estetista) di Bassa Finanza – hanno deciso di dare un tocco di arte visiva alle parole.
Piero ha trovato le immagini, che in realtà sono splendide fotografie satellitari di vari angoli del pianeta. Dolores ne sceglierà per noi una per ogni uscita.
Qui a Bassa Finanza guardiamo le cose dal basso, perché è qui che viviamo e non nei piani alti dell’alta finanza. Ma poi, ogni volta, si cerca di elevarsi. Insieme proviamo a innalzarci per andare oltre. Cerchiamo di imparare a guardare da lassù, cosicché le cose che qui fanno paura diventino dei puntini lontani lontani. Praticamente innocui.
A presto.
Giuseppe Cloza
p.s.
Da oggi è possibile scaricare la Newslettera in formato Pdf. Trovate il link a inizio pagina. In questo modo sarà possibile salvarla in formato stampabile.
E altre novità sono in arrivo a breve…
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